Una delle commedie più celebri e celebrate del Bardo, più volte portata con successo anche sul grande schermo, con ambientazioni e riferimenti temporali via via differenti, tratta, come è noto, della febbre d’amore che colpisce davvero a caso, generando affanno e insolite e mal assortite passioni ed è una favola magica, leggera, frizzante e nel contempo densa di senso, ove in una limpida notte estiva i destini degli umani si intrecciano con quelli dei regnanti e delle creature incantate che abitano i boschi, e la gente umile può condividere esperienze di vita con i potenti, anche a mezzo della magia del teatro. Personaggi mitologici, Re e Regine, fate e folletti, elfi capricciosi, e il destino di due giovani coppie di fantasia è messo davvero a soqquadro. L’amore, dunque, come gioco, sovente assurdo, è tema centrale nel “Sogno…” reso anche in modo beffardo, sottolineando le differenze fra fantasia e realtà: il re Oberon e Titania, Regina delle fate, e altre tre coppie, Teseo e Ippolita, Ermia e Lisandro e Elena e Demetrio, provenienti da universi altri ma allocati su piani che si incrociano, sono tutti portatori sani dell’assioma che una discreta dose di pazzia è il sale della passione e che, alla fine, il filo di ogni storia è, comunque, saldamente in mano agli stessi protagonisti, che possono decidere delle loro vite, occupando ciascuno il tassello assegnato nel teorema amoroso. La visione del drammaturgo era, è plausibile, anticipatoria dei propri tempi, o forse è vero che le passioni raccontate hanno avuto una resa talmente universale da risultare sempre attuali Gli innamorati indimenticabili, in uno alle diverse tipologie di amore nelle loro miriadi di sfumature, dopo quasi 500 anni sono talmente vicini alla nostra epoca e al nostro sentire, che le rivisitazioni non appaiono mai del tutto motivate e in ogni caso, conditio sine qua non per la loro riuscita è che lascino intatto lo spirito dell’opera. Il circo, luogo privilegiato del fantastico (lontano dalla quotidianità ordinaria) e regno della libertà, allocato in una foresta, è, in questa mise en scene, scenario delle vicende,e tale scelta avrebbe potuto essere potenzialmente felice; gli effetti speciali la fanno poi da protagonisti, con fumo e luci psichedeliche, e ancora, la musica rockeggiante che fa da sfondo a danze insensate, la goliardia, i ritmi esilaranti, la dissacrazione e il grottesco….cosa è rimasto della poesia sognante, della leggiadria e della potenzialità allucinatoria, della favola bella dell’opera Shakespeariana? Fra quegli zingari circensi, i violinisti poco capaci – che impersonano spiritelli – pagliacci cripto-gay, ammaestratrici di bestie selvagge, regine delle amazzoni in abiti di lustrini, mi sono realmente persa in quella che non mi è parsa “una visione originale dell’opera”, ma altro. Stefano Fresi, Violante Placido, Paolo Ruffini e Augusto Fornari, i comici interpreti della “performazione”, e fra gli altri, di Piramo e Tisbe, del Leone e del Muro, così come le giovani coppie rese da Alessandra Ferrara, Antonio Gargiulo, Tiziano Scrocca, e Sara Baccarini, e il Teseo di Daniele Coscarella, che di per sé hanno tutti approntato una buona prova attoriale, non hanno però potuto far molto per il cennato vizio di fondo, che ha pesato senza possibilità di riscatto (l’infedeltà cioè allo spirito del testo). Il Vittorio Emanuele, con la platea – e non solo- gremita, gli applausi convinti e le sonore risate, è stato, a onor del vero, testimonianza, invece, di notevole apprezzamento, per il dipanarsi della storia e nei confronti di tutto il cast: tale non è, come già espresso, il mio convincimento, pur se salvo le interpretazioni e comunque la professionalità con cui la rappresentazione è stata portata avanti nelle sue diverse componenti, con un risultato finale in ogni caso danneggiato dall’adattamento e dalla regia, entrambi di Massimiliano Bruno, che hanno orientato non positivamente lo spettacolo.
Sogno di una notte di mezza estate, esilarante rappresentazione, lontana dallo spirito dell’opera shakespeariana
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domenica 07 Aprile 2019 - 16:27
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