Il Quoziente familiare sia considerato il tassello fondamentale della futura riforma fiscale
Tutti ne siamo oramai convinti: l’Italia sul piano delle politiche familiari fa poco e forse anche male. La redistribuzione sociale del denaro pubblico, soprattutto quello destinato a sostenere la così detta “cellula fondamentale” della società, senza della quale tutto andrebbe a catafascio, si disperde in mille rivoli assistenziali col risultato di mettere sempre più famiglie in condizioni di non riuscire a provvedere, in modo dignitoso, al proprio sostentamento.
Si fa un gran parlare, dunque, di politiche familiari, soprattutto a ridosso delle elezioni, e ogni qualvolta se ne parla il riferimento principe è al così detto “Quoziente familiare” indicato come toccasana per i bilanci delle famiglie, ma la cui concreta applicazione viene, dai governi che si succedono alla guida del Paese, costantemente rimandata a tempi migliori. Ma cos’è e come funziona il Quoziente familiare? E quali ricadute esso potrebbe avere sui bilanci delle famiglie italiane? Prima di dare delle risposte vale la pena ripercorrere, sinteticamente, l’evoluzione che il fisco ha avuto in Italia e ciò non per spocchia accademica, ma perché tale evoluzione aiuta a comprendere come mai nel nostro Paese forme di tassazione come lo splitting o il Quoziente familiare fanno fatica ad affermarsi, mentre in altri paesi europei rappresentano una consolidata realtà.
Con la riforma fiscale del ’73-’74 il legislatore italiano stabilì che per il calcolo dell’Irpef si doveva far riferimento al sistema del cumulo dei redditi familiari. Tale indicazione fu successivamente sovvertita dalla Corte Costituzionale la quale, chiamata a esprimersi, con la sentenza 179/76 stabilì l’incostituzionalità del cumulo dei redditi favorendo, di fatto, una concezione di tipo individualista della famiglia dinnanzi allo Stato. Con l’applicazione del Quoziente familiare, invece, la progressività delle aliquote, prevista dall’art. 53 della Costituzione, verrebbe applicata all’intero nucleo familiare e non più al singolo contribuente.
Uno studio di comparazione dei sistemi fiscali vigenti in Francia, Germania e Italia, realizzato nel 2007, ha evidenziato come una famiglia formata da 4 persone con un solo reddito entro i 25.000 euro – in regime di Quoziente familiare alla francese – in Francia paga 52 euro di tasse; in Germania, lo stesso nucleo familiare, allo Stato versa 700 euro d’imposta, mentre in Italia di Irpef paga 1.725 euro. Se poi andiamo ad analizzare i dati relativi a una famiglia composta sempre da 4 persone e con un solo reddito entro i 50.000 euro ci accorgiamo che essa in Francia paga 2.500 euro di tasse, in Germania 7.200 euro, mentre in Italia ben 13.000 euro. Da queste cifre appare evidente come nel nostro Paese vi sia qualcosa che non va nel rapporto tra fisco e famiglie e come dietro tale difficoltà non vi sia appena una questione di numeri, ma anche e principalmente un serrato confronto tra opposte visioni della realtà. Se da un lato, in effetti, c’è chi sostiene che il reddito familiare rappresenti un indicatore più corretto per la capacità contributiva della famiglia, dall’altro si ritiene che potrebbe disincentivare la partecipazione della donna al mercato del lavoro: un vero e proprio dilemma che la politica ha dimostrato di non riuscire a dipanare.
Fortunatamente ogni regola ha la sua eccezione e ciò vale anche per la politica. E una di queste eccezioni è sicuramente rappresentata dall’amministrazione comunale della città di Parma, guidata dal sindaco Pietro Vignali, che non si è lasciata intimorire da problemi di bilancio o, peggio ancora, da retaggi culturali di stampo radicale e così, partendo dal basso, giorno dopo giorno sta costruendo un nuovo welfare qualitativamente e quantitativamente a favore delle famiglie. Per la prima volta in Italia, l’amministrazione di una città ha deciso di adeguare il sistema tariffario dei servizi alla persona a vari fattori legati alla situazione di ciascuna famiglia. Fattori quali il numero dei componenti, la presenza di figli a carico, gli eventuali affidamenti, la presenza di persone disabili, la situazione lavorativa dei genitori e di tutt’una serie di altri parametri che l’Isee (Indicatore della situazione economica equivalente) non contempla. In poche parole si tratta di un algoritmo che modifica l’Isee così come riportato in figura.
La nascita del Quoziente familiare parmense, ribattezzato “Quoziente Parma”, arriva al termine di un percorso condiviso da istituzioni, Comune, Università di statistica e cittadini. Un percorso iniziato due anni fa, su impulso del Forum delle associazioni familiari, con la costituzione dell’Agenzia per la famiglia. Oggi Parma è divenuta la capitale europea delle città amiche della famiglia e il prossimo 21 maggio sarà sede del primo Network al quale parteciperanno numerosi sindaci che chiedono un fisco a misura di famiglia. Scopo del Network sarà, come spiega il sindaco Vignali, “quello di mettere in evidenza come la famiglia oggi rappresenti la prima agenzia di welfare per la quale c’è bisogno di un fronte comune tra Amministrazioni affinché, a livello governativo, il Quoziente familiare venga considerato il tassello fondamentale della futura riforma fiscale”. Siamo dinnanzi a “una sfida politica e culturale, prima ancora che amministrativa, e la famiglia – prosegue il sindaco – non può più essere descritta come un soggetto debole da assistere, ma come una risorsa da sostenere perché è la prima agenzia educativa, di welfare e di relazioni. Questo Network deve dare il via a un’alleanza di Comuni così come è avvenuto per la sicurezza, proprio perché il Quoziente familiare è la vera riforma fiscale”.
Proprio qui sta il punto, vien da dire: ricominciare a considerare la famiglia come risorsa della società e non più come un costo o, peggio ancora, come un problema. L’auspicio allora non può che essere quello di vedere l’esempio di Parma applicato anche da altre amministrazioni comunali italiane in modo da permettere la creazione di un sistema di welfare veramente sussidiario. Solo così, probabilmente, si riuscirà a costringere e a convincere il ministro Tremonti, o chi per lui, a prendere atto che l’annunciata riforma del fisco non può prescindere dall’applicazione del Quoziente familiare.