Quando si parla di vertenze i riflettori sono puntanti inevitabilmente sui drammi vissuti dai lavoratori alle prese con stipendi in ritardo e l'incubo del licenziamento. Di questo sfacelo occupazionale però anche i cittadini pagano grosse conseguenze.
Sul fronte lavoro il 2012 che stiamo salutando ha portato troppa amarezza, troppe lacrime, ci ha costretti a vedere i cortei dei dipendenti di Messinambiente, le occupazioni di quelli dell’Atm, i concerti all’aperto degli orchestrali del Vittorio Emanuele, i presidi dei licenziati Triscele, quelli dei cassintegrati Aicon, degli ex Feluca ed ex Cea, dei lavoratori della Sr Ristorazione e del servizio mense scolastiche, abbiamo sentito le urla degli operatori dei servizi sociali e i volti segnati dall’angoscia degli anziani di Casa Serena, abbiamo letto le lettere dei dipendenti della Fiera. E poi ci sono tutti quelli senza voce, che perdono il lavoro in silenzio perché non abbastanza numerosi o “forti” da far rumore, ci sono i precari, ci sono quelli che in busta paga dichiarano mille euro e poi ne guadagnano 700 perché il datore decide che si fa così. Un quadro nero che in questo anno abbiamo raccontato tante e tante volte.
C’è però un altro lato della medaglia che rischia di passare quasi inosservato. Perché è vero che quando c’è una protesta tutta l’attenzione si concentra sui lavoratori senza stipendi o a rischio licenziamento ed è giusto così. Ma dietro ogni vertenza c’è anche altro. Ci sono servizi che saltano, che funzionano male, ci sono più che altro disservizi e disagi, per una città intera che sembra ormai rassegnata a vivere male anche per tutto questo. Proviamo a fare una panoramica generale di quelle che possono essere state o potrebbero essere le conseguenze per i normali cittadini che non sono toccati in prima persona dalle vertenze ma che, loro malgrado, ne subiranno alcuni contraccolpi.
Primo tasto dolente: Atm. Il servizio di trasporto pubblico cittadino quest’anno ha registrato un lento e inesorabile declino. Siamo arrivati agli ultimi mesi dell’anno trovandoci di fronte un’azienda piena di debiti e che riesce a mettere in strada non più di 20 bus al giorno per una città che conta quasi 250mila abitanti e soprattutto 48 villaggi senza collegamenti. Insieme ai lavoratori in protesta abbiamo visto spesso gli studenti dei villaggi della zona sud come Larderia, Zafferia, Tipoldo, o della zona nord, Rodia San Saba, Castanea, chiedere con forza un servizio degno di questo nome. C’è tanta gente che in città non ha a disposizione un’auto e vorrebbe servirsi dei mezzi pubblici ma è costretta a fare i chilometri a piedi, arrivare in ritardo a scuola o in ufficio, trascorrere ore, spesso a vuoto, alle fermate. Pagano anni di gestione politica e aziendale sbagliata. Si sono rassegnati a non fare affidamento sull’Atm.
Capitolo Messinambiente. E’ l’altra partecipata del Comune, l’altra azienda che costringe puntualmente i suoi lavoratori a protestare per gli stipendi e che non lascia molto soddisfatti i cittadini. Intendiamoci, le colpe non sono certamente di chi in questo momento guida la partecipata. Il commissario liquidatore Armando Di Maria fa i salti mortali per riuscire a far quadrare tutto. La crisi di Palazzo Zanca ha però regalato a Messinambiente un anno disastroso, tra debiti che si sono accumulati, soldi che non arrivano, difficoltà per pagare il carburante dei mezzi, la manutenzione, i viaggi in discarica, gli stipendi. Risultato: nonostante gli sforzi Messina non brilla certo per igiene. Le strade, soprattutto nei villaggi periferici, sono spesso sommerse da cumuli di immondizia, in questo anno siamo stati più volte sull’orlo di emergenze rifiuti che per fortuna non hanno avuto ripercussioni gravi. Chi paga la Tarsu, che adesso diventerà Tares e che sarà molto più salata, vorrebbe però uscire di casa e non fare lo slalom tra sacchetti e sporcizia ad ogni angolo. E qui però un messaggio anche al buon senso di ognuno: non ci mettete del vostro per sporcare ancor di più una città che già ha difficoltà a presentarsi linda e pulita.
Restiamo al Comune, ampliamo il discorso anche alla Provincia, e pensiamo ai tanti precari che da anni affollano gli uffici in attesa della stabilizzazione. Sono precari da una vita, si sono anche rassegnati a rimanere in questo stato, puntualmente temono di essere buttati fuori, fino ad oggi però sono tra i precari, se così si può dire, “fortunati” perché almeno hanno gli stipendi puntuali e il loro futuro è un po’ meno nero rispetto a quello di molti altri. Se però un giorno questo esercito di precari venisse messo alla porta chi farebbe funzionare le amministrazioni pubbliche? Già la macchina burocratica è lentissima e chiunque avrà un aneddoto da raccontare su quanto tempo si perde per sbrigare una pratica, anche semplice, negli uffici pubblici. Senza i precari però il quadro sarebbe ancora più nero perché in fondo è soprattutto grazie al loro lavoro se le amministrazioni riescono ad andare avanti.
Sempre a proposito di precari ci sono quelli della Sanità. Anche loro sono “storici”, fanno capo all’Azienda Sanitaria Provinciale di Messina, anche loro svolgono un lavoro importante perché prestano assistenza sanitaria a migliaia di pazienti in tutta la Provincia. Circa un mese fa da Palermo era arrivata notizia che i loro posti sarebbero stati occupati da colleghi palermitani. Iniziò la protesta per salvare il posto di lavoro. Ma anche per salvaguardare un servizio che oggi è di media qualità e che andrebbe a morire. Perché è facile immaginare che lavoratori di Palermo impiegati a Messina sfrutterebbero al massimo permessi, malattie, licenze e farebbero in modo di esaurire il monte ore settimanali in pochi giorni per evitare, comprensibilmente, le trasferte quotidiane. Tutto questo avrebbe ricadute pesanti sugli assistiti, sono davvero migliaia, che non avrebbero più la possibilità di accedere a determinate cure in modo continuativo e con l’assistenza di cui hanno bisogno.
Parlando di assistenza immediato è il collegamento con i servizi sociali. Nelle ultime settimane di questo anno è esploso un vero caos nel settore, la soluzione è arrivata in extremis, ma erano pronti a saltare 700 posti di lavoro e i relativi servizi. Con un colpo di penna stavano per essere cancellati servizi fondamentali come il trasporto disabili e dei bambini, l’assistenza agli anziani, le attività nei centri di aggregazione giovanile. Inevitabili le conseguenze. Centinaia di anziani sarebbero rimasti senza quella visita giornaliera che da loro enorme sollievo sia in termini pratici che affettivi perché gli assistenti sociali non servono solo a lavare, pulire o dare le medicine, ma sono soprattutto quella parola di conforto che per un anziano significa non sentirsi solo. I ragazzi disabili che fanno le terapie e che raggiungono i vari centri grazie agli operatori dei servizi sociali sarebbero rimasti senza aiuto. Niente scuolabus per i bambini, niente mense al rientro a scuola, chiusi i centri di aggregazione che sono l’unica alternativa alla delinquenza in molti quartieri. Un sistema sociale praticamente smantellato per tutte le fasce deboli che invece hanno più bisogno.
La vertenza dei dipendenti del Teatro Vittorio Emanuele ha spinto la città a ricordarsi di quanto la cultura a Messina sia stata considerata poco importante. La loro è stata anche una battaglia per salvare quella cultura che dovrebbe essere il pane di cui cibarsi ogni giorno per diventare delle persone migliori. La scorsa stagione il Teatro Vittorio Emanuele ha dovuto interrompere la sua programmazione per mancanza di fondi, la gente si è stancata anche di andare a teatro perché “quel poco che era rimasto ce lo stanno togliendo”, mi disse una signora che era in protesta insieme agli orchestrali del Vittorio. Quest’anno si rischiava di non averla completamente una stagione, alla fine per fortuna si è riusciti ad avere un calendario sia di prosa che di musica, la speranza è che la gente risponda alla chiamata di quel palco che è capace di regalare emozioni e suggestioni e che in questo anno ha dato solo grandi amarezze.
Conseguenze di non poco conto le avrebbe la vicenda della mensa del Policlinico. In quel caso a pagare saranno sia i 75 lavoratori della Sr Ristorazione, la ditta che fino ad oggi ha gestito il servizio, sia i pazienti dell’ospedale di viale Gazzi. Il motivo è semplice. Il nuovo bando prevede di portare all’esterno il servizio e di chiudere le cucine interne, tra l’altro nuovissime, del Policlinico. Ciò significherebbe che i pasti arriverebbero da fuori e che i pazienti si troverebbero a consumare piatti preparati e impacchettati anche tre ore prima di essere serviti.
Poi ci sono quelle vertenze che avrebbero dovuto portare a protestare un’intera città. Perchè non si trattava solo di un posto di lavoro o di uno stipendio, ma della città stessa che ha perso pezzi di storia. Pensiamo alla triste fine della Triscele che chiude battenti dopo anni di promesse e speranze. 41 lavoratori da oggi sono in mobilità, ma soprattutto finisce un marchio che è stato simbolo della messinesità. Lo stesso vale per la Fiera. Ci sono 13 dipendenti che non sanno che fine faranno. C’è però un ente che è stato sciolto senza che nessuno battesse ciglio, la Fiera Internazionale di Messina, dopo decenni di storia e tradizione, è finita senza che la città se ne sia accorta. C’è il piano di dismissione delle Ferrovie dello Stato che pian piano taglia treni, chiude impianti e abbandona la Sicilia al suo destino di isola isolata. Anche qui poche le reazioni. Questo forse è uno dei più grandi difetti di Messina. Non funziona quasi nulla, quel poco che c’era sta andando a morire e ad alzare la voce sono solo in pochi, quasi sempre quelli che pagano le conseguenze dirette con la perdita del posto di lavoro o con i cronici ritardi nel pagamento degli stipendi. Dov’è stata la città in questo 2012? La risposta l’aspettiamo nel nuovo anno, sperando di vedere la gente battere i pugni affinchè le cose migliorino. Del resto, a pagare, sono tutti. (Francesca Stornante)