Festeggiare da Musulmani, parla un ragazzo del Gambia: “La nostra famiglia ora siete voi”.

Festeggiare da Musulmani, parla un ragazzo del Gambia: “La nostra famiglia ora siete voi”.

Eleonora Corace

Festeggiare da Musulmani, parla un ragazzo del Gambia: “La nostra famiglia ora siete voi”.

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martedì 24 Dicembre 2013 - 15:48

Ibrhaim ha 17 anni, è uno dei minori dinegati trasferiti a Mineo a cui è stata riconosciuta la minore età. Torna a Messina per festeggiare il Natale, seppur musulmano, perché, spiega: “Non avrei mai pensato di sopravvivere fino a questo dicembre”.

“Ogni ricorrenza è importante perché ti fa pensare al fatto che sei ancora vivo”. Ibrhaim ha diciassette anni, è musulmano, ma quest’anno festeggia comunque il Natale, proprio perché non avrebbe mai pensato, quando ha deciso di intraprendere il viaggio dal Gambia all’Europa, di sopravvivere fino a dicembre.

Dello stesso avviso anche molti altri ragazzi di religione islamica ospiti nel campo profughi allestito vicino al palazzetto sportivo universitario PalaNebiolo. Hanno chiesto a coloro che ormai sono diventati “gli amici di Messina”- ovvero volontari di diverse associazioni, membri di Cambiamo Messina dal Basso e attivisti del Pinelli – di trascorrere la giornata del 25 “tutti insieme”, perché, spiegano: “ il Natale non è una festa che può essere vissuta esclusivamente da chi è di fede cattolica, ma è una ricorrenza che serve per passare una giornata di pace e serenità, soprattutto con la famiglia”. Una famiglia che, però, i migranti non hanno. “Alcuni di noi – spiega Ibrhaim – hanno la famiglia molto lontana, altri l’hanno persa…adesso la nostra famiglia sono le persone che ci hanno dimostrato amicizia e noi vogliamo festeggiare insieme un Natale che non avremmo mai pensato di poter festeggiare”. Per venire incontro a questo desiderio alcuni membri di Cambiamo Messina dal Basso e occupanti del Teatro Pinelli hanno organizzato una merenda di Natale. Palcoscenico di un modo sicuramente esclusivo di passare il pomeriggio del 25 Dicembre a Messina, i locali del Teatro Pinelli. All’incontro non partecipano solo alcuni dei ragazzi che attualmente abitano la tendopoli dell’Annunziata, ma anche una decina dei primi migranti accolti al PalaNebiolo e successivamente trasferiti in centri Sprar sparsi in Sicilia e Calabria. Tornano a Messina da Riace, Gioiosa Ionica e Acireale, per salutare quelle persone che ormai considerano “amici” e questo, forse, è il più bell’attestato di merito – e regalo di Natale – che la società civile messinese potrebbe mai ricevere…la riconoscenza di persone che, seppur trasferite in luoghi d’accoglienza migliori, tornano per il calore e l’affetto che hanno trovato nella nostra città.

Ibrhiam, inoltre, ha qualcosa in più da festeggiare. La mattina del 24 dicembre, infatti, è stato finalmente trasferito nel centro Sprar di Termini Imerese, potendo così lasciare l’inferno del Cara di Mineo, dove era stato spostato erroneamente. Il giovane gambiano di diciassette anni compiuti questo 27 Novembre, è, infatti, uno dei quattro minori dinegati che il 30 Novembre erano stati trasferiti nel centro di Mineo insieme all’ultimo gruppo di migranti rimasti nel PalaNebiolo. Il Giudice Tutelare, che nel frattempo aveva aperto un procedimento a causa del ricorso per la minore età dinegata, ha riconosciuto i 17 anni del ragazzo, consentendogli, così, di accedere a tutte le tutele e i diritti che spettano per legge ad un adolescente.

Ibrhaim è sbarcato in Italia con suo fratello maggiore – sempre Ibrhaim, di 24 anni – che però è stato trasferito nel centro di Riace. I ragazzi sono fratelli, ma con padri diversi, un terzo fratello, più piccolo, si trova già in America e dagli Stati Uniti manda mail di apprensione per la sorte dei congiunti. I due ragazzi divisi, intanto, hanno chiesto il ricongiungimento e affermano di non avere il desiderio di andare in America. “Dovremmo affrontare un altro viaggio, senza sapere cosa ci accadrà in seguito – spiegano – siamo stanchi e ci piacerebbe rimanere qui, anche perché il clima è buono, non fa troppo freddo”.

Abbiamo scelto di raccontare un frammento della vita di Ibrhaim, perché emblematica, sia per l’aver subito, da minore, il trauma del soggiorno in un centro come quello di Mineo, che il 13 dicembre scorso ha registrato l’ennesimo suicidio e questo fine settimana l’esplosione di proteste da parte dei rifugiati per le condizioni in cui sono costretti a vivere, sia per la grande voglia di andare avanti insita nel voler godere, da musulmano,di una festa tradizionalmente cattolica, cogliendo così, a nostro avviso, molto più del senso del Natale di molti credenti.

Le storie di ragazzi come Ibrhaim, sono un arcipelago di racconti frammentati da barriere di silenzi e vuoti: quelli dei traumi subiti in patria o nel corso del viaggio. Barriere di dolore che chi scrive non ha voluto forzare, per rispetto del loro statuto di persone, già costantemente violato dalle pratiche di una politica, nazionale ed Europea, che ha a che fare con tutto – profitti compresi – tranne che con l’accoglienza.

C’è chi ha una famiglia da mantenere, per questo prova la roulette del viaggio in Europa, quando l’unica alternativa in patria è la miseria. C’è chi la famiglia l’ha persa, perché genitori, moglie o figli sono stati uccisi nel corso di una guerra o di una delle tante faide interne ai vari gruppi etnici. C’è chi scappa perché cristiano dove questo può costare la vita. C’è chi parte per l’Europa perché, orfano, non ha nulla da perdere. C’è chi ha perso l’amico o il fratello proprio nel momento dell’imbarco, perché uccisi dai militari libici che aprono il fuoco contro i barconi in rotta per Lampedusa. C’è chi nelle carceri libiche ha subito torture e sofferto la fame e la sete nel deserto. Tutti rischiano ogni cosa per rivendicare, forse, semplicemente, il diritto di esistere. “Le nostre vite saranno i vostri libri d’avventura…” (Erri De Luca – Solo Andata) – Eleonora Corace

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