Un bel dì vedremo. Il merito della proposta

Un bel dì vedremo. Il merito della proposta

Giovanni Francio

Un bel dì vedremo. Il merito della proposta

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sabato 28 Gennaio 2017 - 23:07

Al Teatro Vittorio Emanuele un invito a risorgere con la grande arte lirica italiana

Nell’ambito di una (non) stagione di musica, totalmente e incomprensibilmente sacrificata a vantaggio della stagione di prosa, in mancanza di rappresentazioni di opere liriche (neanche una!) ci dobbiamo accontentare di ascoltare brani celebri tratti dalle più amate opere del melodramma italiano.

Dinanzi ad un pubblico non numeroso, ove spicca ancora una volta la quasi totale mancanza di giovani, è andato in scena uno spettacolo, dal titolo Un bel dì vedremo, interessante e abbastanza singolare, che si propone l’obiettivo di proporre un messaggio di rilancio dell’arte in generale e della musica operistica italiana in particolare, in un momento storico in cui la crisi economica e sociale sembra abbia trascinato con sé anche l’arte. E così il bravo e simpatico Bruno Torrisi, voce recitante, nell’introdurre ogni brano eseguito, con la narrazione delle varie vicende cui si riferiscono le arie cantate, e nel contempo riferendo aneddoti e curiosità sui compositori autori dei brani, non ha mancato di ribadire più volte che lo spettacolo messo in scena vuole rendere omaggio all’arte italiana, ed è un invito a rinascere, a sperare che finalmente un bel dì vedremo giorni migliori, come simbolicamente enuncia l’aria di Madama Butterfly assunta a titolo dello spettacolo. Dopo aver introdotto l’essenza dello spettacolo che stava per essere messo in scena, Torrisi, riassumendo la vicenda dell’opera Pagliacci di Leoncavallo, ha lasciato il posto all’Orchestra del Teatro Vittorio Emanuele di Messina,che ha iniziato il concerto con il prologo dell’opera, al quale ha fatto seguito la prima aria della serata, che ha avuto come principale protagonista il soprano Marianna Cappellani, La ballatella di Nedda; ”Qual fiamma aver nel guardo”, seguita a sua volta da un altro brano tratto dal celebre melodramma di Leoncavallo, l’”Intermezzo” orchestrale. Precedute da altrettanto introduzioni di Torrisi, sono state eseguite, nell’ordine, “Sì, mi chiamano Mimì” da La bohème di Giacomo Puccini, “Un bel dì vedremo” da Madame Butterfly, sempre di Puccini, “Tacea la notte placida”, celebre aria cantata da Leonora, dal Trovatore di Giuseppe Verdi. Nella seconda parte della serata è stata la volta di brani da Norma di Vincenzo Bellini: “Overture”, “Casta diva”, poi ancora Puccini con la celeberrima “Vissi d’arte” da Tosca, ed infine lo splendido “Preludio” e l’aria di Santuzza “Voi lo sapete” da Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni. L’esperimento di coniugare voce recitante e musica è stato parzialmente riuscito. Infatti, troppo celebri e conosciute sono le opere dalle quali sono stati eseguiti i brani, per non rendere poco interessante e un po’ didascalico il riassunto delle vicende, generalmente arcinote. Anche la presenza di un solo soprano, interprete di tutte le arie, ha contribuito a generare l’impressione di una certa monotonia, di uno spettacolo un po’ monocorde, che sarebbe stato senz’altro ravvivato dalla presenza anche di una voce maschile (tenore o baritono), che avrebbe potuto interpretare arie di sicuro gradimento per il pubblico (ad esempio da Pagliacci “Vesti la giubba”). Anche la scelta dei brani ha destato qualche perplessità, dal momento che, se l’intento era omaggiare l’arte lirica italiana, sarebbe stato più conducente, anziché eseguire ben tre arie di Puccini, dare spazio anche a Rossini e Donizetti, per mettere in scena un quadro più completo del melodramma italiano. Tra le note positive, sicuramente alcune apprezzate digressioni del narratore, fatte di curiosità e aneddoti di un certo interesse, come, ad esempio, la spiegazione dell’originario significato del termine bohèmien (da cui La bohème), termine che trae origine dalle abitudini scapestrate degli studenti boemi di Praga, trasferitisi a Parigi dopo la Guerra dei Trent’anni, o come l’inatteso atteggiamento cinico e spregiudicato di Vincenzo Bellini nei confronti delle donne, o infine la causa per plagio intentata e vinta da Giovanni Verga nei confronti di Mascagni.

Dignitosa la performance dell’orchestra, anche se in organico abbastanza ridotto, diretta diligentemente da Giuseppe Paratore; buona la prova del soprano, che ha sfoggiato una voce agile e sicura, anche nell’esecuzione di arie non certo facili come “Casta diva”, la cui esecuzione, corretta e sicura, purtroppo ha risentito della mancanza del coro, sostituito dai fiati, mancanza che ha compromesso quella “magia”, quel solenne e toccante misticismo che solo con l’apporto del coro può essere reso. Tutto sommato uno spettacolo gradevole che merita di essere visto, gradito comunque dal pubblico, che ha invocato a più riprese il bis, ed è stato accontentato con la riproposizione di “Un bel dì vedremo”, come augurio del messaggio che lo spettacolo ha voluto trasmettere a tutti noi.

Giovanni Franciò

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