Per il finale del Messina Film Festival - Cinema&Opera, reading nel segno di "Cavalleria rusticana"
“Relazioni pericolose”…. o della doppia anima della Santuzza verghiana e “Cavalleria rusticana”. Il 7 dicembre, alle ore 21, al Teatro V. Emanuele della nostra Città, si è tenuta la manifestazione sostanzialmente conclusiva del “Messina Film Festival”, giunto alla sua ottava Edizione, e segnatamente alla seconda – Cinema & Opera – per la pregiata direzione artistica di Ninni Panzera, con focus proprio sul rapporto fra cinema e opera lirica; in realtà la più generale kermesse affonda le proprie radici e la genesi nel 1995 in location privilegiata presso l’indimenticata Saletta Milani, con annuali settimane dedicate a film italiani indipendenti, retrospettive e ospiti, con sipario calato nel 2001.
E da allora… il silenzio, se si esclude una similare rassegna, la “Mostra del Cinema dello Stretto” del 2006/2007/ e 2009, con la direzione artistica di Anna Maria Mazzaglia Miceli.
La felice ripresa poi nel 2023 “tout court”, con fil rouge su cinema/opera lirica, quest’anno validamente riproposto.
Nel ricordare che l’odierna Rassegna ha anche ospitato il “Premio per il miglior cortometraggio”, dedicato a Emi Mammoliti, ideatrice e fondatrice del “Messina Film Festival”, con immagine di un tetradramma del periodo fra il 420 e il 396 A.C., ove in cerchio di palline appare la scritta “Messenion”, mi soffermerò qui dapprima sul monologo “Relazioni pericolose” per poi trattare “Cavalleria rusticana”, con peculiare rimando all’opera filmica di Franco Zeffirelli del 1982 .
Il primo, monologo, “Relazioni pericolose”, su testo di Debora Pioli, ideazione di Debora Marazzitta, voce recitante di Stefania Sandrelli, esibizione pianistica di Rocco Roca Rey e canora della soprano Daria Masiero, con allestimento scenico di Marco Voleri, ha voluto restituire il punto di vista delle celeberrima Santuzza della nota vicenda verghiana, trascritta nella novella del 1880, sulle vibranti melodie di Pietro Mascagni: il mesto Preludio, le arie famose, il magnifico Corale della scena della Domenica di Pasqua, l’indimenticabile duetto fra Compare Turiddu e Santuzza, il celeberrimo Intermezzo, di toccante spiritualità, fino al tragico finale.
L’opera monologante ha, nel solco di più o meno qualificate operazioni similari, oramai assai numerose, scandagliato con introspezione psicologica, il personaggio di Santuzza, togliendolo dalla coralità verghiana e conferendo allo stesso importanza, a mio avviso, non nelle corde autoriali.
In ogni caso, è risultato apprezzabile quello che può allora definirsi un esperimento condotto sulla scrittura verghiana, che scava nelle pieghe e le piaghe di Santuzza, per una originale rivisitazione del suo sentire, con restituzione di importanza di ruolo e sottrazione alla marginalità, che con onestà intellettuale, certamente anche Verga aveva comunque già condotto.
Santuzza è infatti anche nella novella di derivazione, di particolare spicco, poiché alla stessa vanno comunque ricondotte le cause dell’azione che consegnano a esito infausto l’esistenza di Turiddu.
Stefania Sandrelli, da mito vivente quale è, ha reso in questa chiave moderna efficacemente il personaggio, avvalendosi del supporto della Soprano Daria Masiero che, in abbigliamento più afferente alle tradizionali rappresentazioni di “Cavalleria”, ha inteso incarnare invece l’anima antica santuzziana, saldamente ancorata all’epoca tardo ottocentesca del contesto siciliano sottostante, e dunque asservita alla logica dominante maschilista. Sul finale le differenti parti si sono come ricomposte in un simbolico appropinquarsi dell’Attrice e della Soprano, dignitosa nell’esecuzione delle arie di Santuzza. Buona l’interpretazione pianistica dell’artista R. Roca Rey, con ascendenze molto di spicco (la madre Amanda Sandrelli e il padre Blas Roca Rey), che ha avuto un ruolo assai importante nella pièce.
La “mise en scène”, giustamente essenziale, ha puntato sulla mera presenza di elementi funzionali alla rappresentazione – oltre il citato pianoforte, due neri leggii e due sedie di colore rosso – ricercando volutamente il contrasto anche con il nero dominante degli abiti, maschile e femminili, di scena, e in ciò ben incarnando i chiaro/scuri della sicilianità, sempre marcati, con forte emergere della componente passionale, pur sotto il magma ristagnante della apparente passività.
Una serata di elegante piacevolezza, che ha avuto il pregio di indurci a riprendere in mano “Cavalleria”, avvalendoci magari di questa rilettura, che, se sulle prime può mettere fuori strada, con lavorio di sedimentazione riesce a trasparire in una propria autenticità.
Passando ora alla già citata versione filmica zeffirelliana, la stessa ha attratto e avvinto per la sontuosità, in primis del contesto – che peraltro è protagonista, trattandosi di opera letteraria marcatamente corale, ove il territorio vizzinese è al centro – laddove i personaggi, pur di peculiare dimensione, lasciano il primato allo sfondo sottostante, come anche l’intitolazione suggerisce.
Certo, Compare Turiddu, Santuzza, Gna’ Lola, Gna’ Nunzia e Compare Alfio, emergono, ma mai sovrastando l’ambientazione tipizzata sottostante, che resta centrale e dominante.
In particolare poi non può omettersi l’operazione di minuziosa e certosina ricerca, oltreché sulle scenografie, come già fatto rilevare, anche sui costumi che, pur in una opulenza che “prima facie” parrebbe poco consona allo spaccato del mondo rurale “de quo”, ad una disamina più attenta è risultata ben rappresentativa di quell’universo, poichè riferito alle giornate pasquali, ove il borgo amava fare sfoggio di abiti, accessori e gioielli più di pregio, tenendo in particolare conto la cura della propria immagine per apparire al meglio agli occhi della comunità di appartenenza. E poi…come non citare l’attenzione alla esecuzione delle musiche e arie di Mascagni, con risultati di strabiliante perfezione, con cantanti/attori di primissimo ordine quali Elena Obrazcova (Santuzza), Placido Domingo (Turiddu) e Renato Bruson (Alfio), per l’elegante direzione di Georges Pretres, con il Coro e l’Orchestra del Teatro alla Scala di Milano.
Zeffirelli, ancora, può a buon titolo definirsi una delle anime, la più in rilievo comunque, che il Festival ha inteso omaggiare, e fin dall’apertura del 30 novembre – con inaugurazione presso la Sala Cripta del Museo Regionale “Accascina” della esposizione “I gioielli” di Gerardo Sacco per F. Zeffirelli, di stupefacente fattura e proiezione filmica, alla presenza della regista Anselma Dell’Olio, del lungometraggio “Franco Zeffirelli conformista ribelle” – tale assunto è apparso con ogni evidenza. Il regista è stato celebrato anche con le proiezioni di “La traviata” del 1983 e di “Otello” del 1986, con protagonisti di eccellenza e direzione zeffirelliana, mentre un po’ meno riuscita è sembrata l’opera filmica “Callas for ever”, risalente al 2002.
Di certo si è inteso restituire alla figura citata la centralità che l’accusa di conformismo, con provenienza dagli strati più radicali degli ambienti di una certa sinistra, aveva inquinato, poichè sono innegabili i meriti di un personaggio, talora di certo sopra le righe, ma sempre portatore di una qualità artistica indiscussa e personale.