La celebre attrice messinese racconta il suo percorso, il grande amore per il Teatro, i sogni ancora nel cassetto
Stella Egitto nasce a Messina, dove scopre da piccolissima la passione per la recitazione. Ed è proprio quella stessa passione, ogni giorno più forte, che l’ha portata dalla Sicilia ad essere protagonista del grande schermo e di grandissimi palchi in tutta Italia.
Si forma all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico; per iniziare, poi, nel 2009, la sua carriera in teatro. Recita in opere classiche e moderne, sotto la guida di importanti registi tra i quali Ferro, Cappuccio, Pugliese ed in compagnia con Gianmarco Tognazzi.
Dal teatro il suo talento è stato voluto anche per il piccolo e grande schermo. Al cinema, per esempio, con la commedia “Ti Stimo Fratello” e “Diario di un’inquietudine” di Aurelio Grimaldi, o “In guerra per amore” di Pif, seguito da “Malarazza” di Giovanni Virgilio e “Detective per caso” di G. Romano.
In tv ha esordito con il “Decameron» di Daniele Luttazzi, seguito da “Squadra Antimafia 3”, “Questo Nostro Amore”, “I ragazzi di Pippo Fava», gli “Anni Spezzati”, “Romanzo Siciliano”, l’episodio “Amore” della serie “Il commissario Montalbano” e tanto altro.
“Credo ai percorsi più che ai successi” dichiara Egitto e, così, ci ha raccontato il suo di percorso, tra passioni, ideali e sogni.
L’intervista
Nella tua carriera sono tantissimi i prestigiosi progetti cui ha fatto parte, tra cinema, teatro e televisione. Inizio subito dal chiederti, allora, cosa è per te la recitazione? Perché reciti? È un bisogno, una vocazione?
“È un’urgenza. Ho scelto questo mestiere perché mi offre la possibilità di essere strumento per raccontare delle storie. Ti coinvolge a 360 gradi e condiziona la tua vita, il tuo modo di osservare il mondo, vuoi rubare ciò che vedi, leggi, incontri. Recitare ha molto a che fare con questo sguardo sul mondo e la voglia di raccontare qualcosa che vada oltre la nostra storia personale. Mi piace mettermi nei panni degli altri, vivere le vite dei miei personaggi”.
Vorrei chiederti, infatti, del rapporto che si viene a creare tra attore e personaggio, di quel mondo che resta dietro le quinte e noi spettatori non conosciamo. Per esempio, Eduardo De Filippo diceva che bastava guardare un costume del suo personaggio, una sua caratteristica, per vederlo presentarsi davanti a lui; tu, Stella, in che modo costruisci il tuo personaggio in ogni nuova interpretazione?
“Io parto dalle suggestioni nate in me dalla lettura attenta della scrittura del copione. Leggo, mi faccio domande. La scrittura dei testi teatrali in particolare, per me, è quasi la perfezione; ci sono testi che hanno superato i duemila anni, testi che formalizzano come si struttura una commedia o una tragedia. Io, allora, osservo i dettagli, studio il contesto storico, quello sociale del personaggio. Quando un testo è bello è tutto lì, trovo tutto ciò di cui ho bisogno e scelgo soltanto quali dettagli portare avanti, imparando a conoscere il mio personaggio: chi è, da dove viene, che motivazioni e obiettivi ha. Così lo vedo dinanzi a me, la sua camminata, la sua voce, che orecchini sceglierebbe o che profumo indosserebbe. E inizio a costruire. Noi dobbiamo solo portarlo alla luce ma il personaggio è già lì”.
E cosa diventa per te il tuo personaggio? Ti cambia? Quanto ci metti di tuo e quanto porti di lui nella tua vita?
“I personaggi non mi hanno cambiata, mi hanno arricchita. C’è un piccolo pezzo di me in ciascuno di loro. Se vengo scelta o scelgo un ruolo è perché so di poterlo portare con me, e cerco tutti i punti di convergenza con il personaggio. Con alcuni magari ve ne sono di più, con altri non necessariamente, ma porto sempre, in regalo, il bagaglio d’esperienza che mi hanno permesso di vivere. Se penso a Malarazza o ad Anna de Nel bagno delle donne, penso di aver raccontato un pezzo del loro vissuto che si aggiunge al mio, di aver sentito sulla mia pelle un po’ della loro”.
Cosa avviene dentro di te, invece, nel passaggio da un ruolo all’altro?
“È necessario io sia concentrata, amo prepararmi con attenzione. Recentemente mi è capito di lavorare a produzioni diverse nello stesso periodo e dover passare da un ruolo all’altro contemporaneamente. All’inizio devi dividere il tuo spazio di concentrazione tra due mondi diversi, ma quando cominci a lavorare un ruolo si crea un filo che vi lega e non si perde più. Sei tu a creare su un foglio bianco, è più difficile, ovviamente, se i fogli bianchi sono più di uno, ma creato lo scheletro, poi i muscoli e gli organi vengono da sè”.
Cinema o teatro, hai una preferenza?
“La mia formazione è il teatro, ed è il mio amore più grande. Amo quella sensazione di continuità meravigliosa che parte dal pezzo di carta letto al tavolo, passa per le prove fatte giorno dopo giorno con grande costanza e si conclude nel confronto con un pubblico che cambia di volta in volta. Ho cominciato a recitare per questo tipo di emozioni. Il Cinema e la Tv sono dei viaggi stupendi in cui la macchina da presa ti mette alla prova e ti offre, al tempo stesso, la possibilità di essere eterno, rende vivibile il tuo lavoro anche tra 20 anni. Cinema e televisione sono, però, sorprese che non avevo messo neanche in conto, il teatro è casa mia. Non so se questa sia una preferenza, ma amo starci e non vedo l’ora di tornarci”.
A proposito, infatti, sono tanti i tuoi nuovi progetti, proprio a partire dalla ripresa della tournée teatrale di “Follia” di Shakespeare, fino al cinema con “Codice Karim” di cui sei protagonista, passando per Netflix e la tv. Come è ripartire?
“Bellissimo. La prima quarantena mi ha permesso di mettere ordine, ne sono uscita carica e concentrata. Per questo ho lavorato a tanti progetti, anche in Sicilia. Mi sento di ripartire con più responsabilità, ci siamo resi tutti conto di quanto sia necessario affacciarci alle storie degli altri, con i film o i racconti. La quarantena ha acceso il nostro sguardo curioso sul mondo”.
Hanno un sapore diverso, invece, i lavori che ti riportano nella tua terra, come per la serie “Il Commissario Montalbano” o il film “Malarazza”?
“Sì lo hanno, io sono innamorata pazza della Sicilia, davvero innamorata pazza, è un amore folle. Non sarei chi sono se non fossi nata qui, se non avessi queste origini. Sono felicissima quando posso raccontare qualcosa che mi appartiene, portare i miei colori, il mio immaginario, quelle storie che mi raccontavano i nonni. È un onore ed una gioia lavorare a delle storie che partono da qui; dalla mia terra piena di contraddizioni, che mi somiglia tantissimo”.
Per concludere, hai un sogno ancora nel cassetto?
“Assolutamente sì, come si dice: il ruolo più bello o l’incontro più bello è quello che deve ancora accadere. Credo ai percorsi più che ai successi; il successo mi rende felice se è un progetto in cui credo che arriva a qualcuno, gli permette di identificarsi, lo fa arrabbiare. Il successo è questo, per il resto è del percorso che voglio avere cura. Mi auguro di avere incontri stimolanti, di essere messa in difficoltà, di confrontarmi con cose che non conosco. E ce ne sono ancora tante”.