"E' il lavoro più bello che si possa fare". Sognava di fare il diplomatico Lorenzo Siracusano, invece, un tirocinio di due mesi in un ospedale di Emergency in Sudan ha cambiato la sua vita. Oggi è il responsabile nazionale della logistica: "Alla guerra non si può rispondere con un'altra guerra"
All’ospedale di Khartoum è arrivato per un tirocinio di due mesi. Invece in quel presidio di Emergency nel Sudan ci è rimasto due anni e mezzo. E da allora non si è più fermato: Uganda, Libia, Afghanistan, Sierra Leone, Repubblica Centro Africana, Nepal, Iraq tutte tappe delle sue missioni alle quali aggiungere i periodi nei presidi italiani ed il ruolo da responsabile della logistica a Milano.
Una laurea all’Orientale di Napoli, una tesi sul Ponte sullo Stretto, un master alla Sapienza, Lorenzo Siracusano quando pensava al futuro “da grande” s’immaginava diplomatico, una carriera con indirizzo internazionale ma strada facendo ha incontrato e amato il suo destino: operare al fianco delle popolazioni più ferite e dimenticate. Stava facendo un master in cooperazione e aiuto umanitario a La Sapienza, quando ha scelto, per il tirocinio, di fare un colloquio con Emergency. In quel momento la sua vita è cambiata. E’ diventata bellissima.
“E’ uno dei lavori più belli che si possano fare” racconta in una pausa tra una missione ed un’altra mentre fa la spola tra Messina e Salina, ma con l’occhio sempre al telefono, perché alcuni lavori sono così: sono più “vita” che occupazione. “ Noi curiamo tutti: sei una persona e devi essere curato. I nostri ospedali in Africa sono totalmente gratuiti. Può sembrare banale ma in Africa non è così. Nel Sudan abbiamo realizzato vere e proprie eccellenze nel deserto: cardiochirurgia ed anche un ospedale pediatrico. Sono arrivato a Khartoum come tirocinante, poi, due mesi dopo mi hanno proposto un primo contratto da logista, poi un secondo. Ed eccomi qui”.
Se gli chiedi cosa fa un logista, scopri che se Emergency funziona ed è un meccanismo rodato nelle sedi di tutto il mondo, dove costruisce e gestisce ospedali, centri, ambulatori, lo devi proprio al “motore” dell’organizzazione.
“Noi logisti scherzando diciamo ai medici, agli infermieri, a quanti stanno per partire per le diverse destinazioni: voi dovete pensare solo a quanti chili di vestiti dovete mettere in valigia. A tutto il resto pensiamo noi”.
E’ tutto ciò che non si vede: se le sale operatorie funzionano, se i farmaci e le apparecchiature sono in grado di dare risposte anche in terre di sangue e frontiera lo si deve a chi “opera” dietro le quinte, senza bisturi ma con la stessa grande umanità e coraggio. Perché sta in prima linea accanto agli altri e deve essere lucido sempre per consentire a chi opera di concentrarsi solo per salvare migliaia di vite.
Nulla viene affidato al caso e ogni aspetto passa per gli uffici centrali di Milano, dove testa e cuore funzionano all’unisono e dove Lorenzo Siracusano, dopo Sudan e Afghanistan è approdato come responsabile nazionale dell’ufficio logistico, sebbene la sua presenza sia sempre necessaria nei diversi territori.
“Il miracolo non è soltanto quello di realizzare i centri, ma è anche quello di formare medici, infermieri, logisti, staff locali in grado di professionalizzarsi e lavorare anche da soli. Lavoriamo fianco a fianco. In Afghanistan ad esempio il rapporto è di 1 internazionale e 10 locali. Lì adesso lo staff locale è in grado d’insegnare chirurgia di guerra. Nel Sudan gli infermieri, gli strumentisti e molti chirurghi sono sudanesi”.
Da Karthoum si è spostato in Afghanistan dove c’è la chirurgia di guerra. Le ferite sono diverse, persino la psicologia di chi abita questa terra è diversa, perché se una guerra dura da 30 anni, magari da quando sei nato, non riesci a pensare che ci sia un’altra realtà e pensi che la quotidianità sia quella: rischiare di saltare in aria per una mina o di essere massacrato per una rappresaglia.
“Stare nei presidi di guerra è un’esperienza durissima, molto forte. Le ferite da guerra sono terribili e non soltanto fisicamente. Ci sono migliaia di mutilati, di civili feriti che vivono psicologicamente anche altre ferite della guerra, meno visibili. Chi è nato in guerra la vive quotidianamente come un fatto inevitabile, ma ci sono ferite profonde che riguardano le anime delle persone, il futuro di una comunità. E insieme alla guerra ci sono le carestie, i lutti, le fughe. Se ho avuto paura? Impari a conviverci, si crea un profondo legame con il team. Per motivi di sicurezza viviamo tra l’ospedale e i nostri alloggi, ma non stacchi mai. Più che paura a volte ti capita di avere un profondo dolore misto a rabbia, come quando ho saputo che uno dei migliori infermieri dello staff locale, un afghano, giovanissimo e pieno di speranze, è stato ucciso mentre stava venendo al lavoro. Noi siamo lì, a curare ferite causate da guerre e rivalità che noi occidentali abbiamo contribuito ad alimentare. La guerra chiama guerra, nessun conflitto può essere risolto militarizzandolo”
Dopo gli anni in Afghanistan nei presidi di guerra, dove i morti ed i feriti li conti ogni giorno e dove devi fare di tutto affinchè i posti letto disponibili diventino molti di più rispetto a quelli “reali”, è stato trasferito a Milano alla sede centrale. Da lì però ha continuato, con il ruolo di logista a girare per il mondo, dal Nepal alla Libia, dalla Sierra Leone all’Uganda.
“ Emergency costruisce gli ospedali, li progetta e li realizza. Il nostro staff di logisti è il primo che arriva nei vari Paesi per capire che tipo d’intervento serve e quale soluzione migliore adottare. Siamo stati anche in Iraq, nei campi profughi di chi scappava dalla Siria. I campi profughi sono inimmaginabili, abitati da migliaia di persone fuggite che però restano in tendopoli per anni. In Iraq abbiamo realizzato tra le altre cose anche un ambulatorio di medicina di base, perché è come se fosse un’immensa città. Devi curare i malati cronici, ma anche le piccole ferite. In altre realtà costruiamo direttamente gli ospedali. Il nostro ufficio progettazioni chiede ai medici di cosa hanno bisogno per quella specifica realtà. Noi pensiamo alla progettazione, poi ci rechiamo sul posto, ci affidiamo ai locali per la costruzione e seguiamo passo per passo ogni fase. Da 4 anni stiamo costruendo un ospedale pediatrico in Uganda, il progetto ce lo ha donato Renzo Piano. E’ stata un’emozione per me recarmi lì, individuare il terreno, confrontarmi con il governo e poi, piano piano, veder crescere l’opera”.
Emergency ha numerosi ambulatori e presidi in Italia, alcuni dei quali all’inizio destinati ai migranti giunti attraverso gli sbarchi. Con il passare del tempo la proporzione dei pazienti italiani rispetto ai migranti è aumentata.
“Adesso un paziente su cinque è italiano, siamo presenti con ambulatori fissi a Marghera, Castel Volturno, Napoli, Palermo, Polistena e Sassari, in Sicilia offriamo assistenza socio sanitaria ai migranti. Inoltre, per facilitare l’accesso alle cure alle fasce più vulnerabili della popolazione, fin dal 2011 abbiamo attivato diversi ambulatori e unità mobili che lavorano nelle aree agricole, nelle periferie urbane, nei campi profughi, in aree colpite da catastrofi naturali”.
Cattolico, Lorenzo Siracusano ha visto uomini, donne, bambini, pregare in ogni lingua e con qualsiasi religione “la preghiera è universale, davanti al dolore la preghiera è una sola”. Da responsabile della logistica quando si trova di fronte un giovane che vuol intraprendere lo stesso percorso spiega che l’importante è capire il valore del suo lavoro “se tutti i giorni riesci ad aprire tutte le 100 porte dell’ospedale allora hai vinto”.
IN HOMEPAGE L’ARTICOLO SU EMERGENCY, che attualmente è presente in: Afghanistan a Kabul e Lashkargah con due ospedali di chirurgia di guerra e ad Anabah nella valle del Panshir con un centro medico chirurgico e un centro di maternità.
In Sudan a Khartoum con un ospedale di cardio chirurgia e una clinica pediatrica a Port Sudan e nel campo profughi di Mayo vicino a Khartoum. In Repubblica Centro africana, a Bangui a supporto di un ospedale di chirurgia pediatrica e con una clinica pediatrica. In Sierra Leone, a Goderich, dal 2001 c’è un Centro chirurgico nato per le vittime di guerra e successivamente ampliato alla cura dei pazienti ortopedici e di tutte le emergenze chirurgiche. All’interno del complesso ospedaliero c’è anche un Centro pediatrico che offre cure mediche di base ai bambini sotto ai 14 anni.
In Iraq, Emergency ha costruito 3 Centri sanitari all’interno dei campi allestiti dalle autorità curde e dalle organizzazioni internazionali nel governatorato di Sulaimaniya.
Sempre a Sulaimaniya c’è un centro protesi e reintegrazione sociale.
Rosaria Brancato