Francesca Picilli, la giovane di Sant'Agata che 10 giorni prima aveva ferito il fidanzato, ha beneficiato della riqualificazione del reato, da omicidio volontario a preterintenzionale. Il processo ha ripercorso su una vicenda drammatica e delicata, che ha coinvolto diverse famiglie. Il commento del legale.
Aveva 25 anni Benedetto Vinci quando ha esalato il suo ultimo respiro. Era il 14 marzo 2012. Qualcuno in meno ne aveva la sua fidanzata, Francesca Picilli, che ora ha sulle spalle una condanna a 18 anni per omicidio. La sentenza però è stata comunque più mite per lei, rispetto all’accusa principale: i giudici della Corte d’Assise di Messina hanno derubricato il capo di imputazione da omicidio volontario a omicidio preterintenzionale, hanno escluso l’aggravante dei futili motivi e disposto una provvisionale elevata: 110 mila euro ai familiari del ragazzo. Francesca per il momento non va in carcere, l’esecuzione della pena è sospesa. Dopo l’incriminazione, nel 2012, è rimasta ai domiciliari 5 mesi, poi ha affrontato il processo, assistita dall’avvocato Nino Favazzo, trovandosi di fronte i genitori e i fratelli di quello che era il suo fidanzato.
Benedetto era stato trovato senza vita nel letto della sua abitazione dalla madre e dalla sorella, che abitano nella centralissima via Campidoglio di Sant’Agata. Al mattino non si era svegliato e i familiari, preoccupati, sono entrati nella sua stanza. Il ragazzo infatti 10 giorni prima, al culmine di una lite con la fidanzata, era stato colpito da lei all’addome con un coltello. Una ferita che inizialmente non sembrava gravissima, ma che ha richiesto il trasferimento del giovane all’ospedale Cervello di Palermo, dove era stato operato. Da lì era stato dimesso pochi giorni prima e, anche se ancora convalescente, sembrava stare meglio, al punto che alla scoperta del suo corpo senza vita si fanno diverse ipotesi, dal suicidio al malore. Si valuta anche l’ipotesi che in ospedale le cose non siano andate come avrebbero dovuto, tanto che vengono indagati sei medici della struttura sanitaria palermitana.
Presto, però, emerse anche il sospetto che si tratti di una complicanza della ferita provocata dalla fidanzata, e Francesca viene arrestata. Il processo svoltosi a Messina, con i familiari della ragazza da un lato e quelli del giovane scomparso dall’altro, presenti a tutte le udienze, a distanza, dopo anni di pacifica convivenza come compaesani e familiari comuni di una giovane coppia, ha snocciolato i momenti più drammatici e delicati della vicenda. Ieri l’epilogo: la Corte ha accolto in parte le richieste del difensore – l’accusa, il pm Francesca Bonazinga, aveva chiesto la condanna a 24 anni per la più grave accusa di omicidio volontario, e disposto il risarcimento per le parti civili, assistiti dagli avvocati Pippo Mancuso e Alessandro Nespola.
“La sentenza odierna rappresenta il massimo sforzo che la Corte ha inteso compiere, una volta esclusa la sussistenza del dolo omicidiario a carico della mia assistita – commenta l’avvocato Favazzo – ma presta il fianco ad una serrata critica, in punta di diritto, e quindi di una corretta qualificazione giuridica. Essa si segnala piuttosto per la eccessività della pena irrogata, attestata nel massimo edittale. La decisione che, anche per questo, non potrà che essere impugnata, suona più come sentenza esemplare che come sentenza giusta”.
(Alessandra Serio)