L'ex giudice Morici: Le domande di Fiammetta Borsellino ancora senza risposte

L’ex giudice Morici: Le domande di Fiammetta Borsellino ancora senza risposte

Ernesto Morici

L’ex giudice Morici: Le domande di Fiammetta Borsellino ancora senza risposte

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giovedì 27 Dicembre 2018 - 06:51
La strage e i depistaggi

Importante, chiarissimo il pensiero del Presidente della Repubblica nel giorno del 26esimo anniversario della strage di via D’Amelio.

Onorare la memoria del giudice Borsellino e delle persone che lo scortavano significa anche non smettere di cercare la veritá su quella strage.

Il 18 luglio del 2018 Adnkronos, richiamando la lettera pubblicata su Repubblica, riportava le 13 domande che Fiammetta Borsellino, con semplicità e fermezza, poneva a tutti. Ad alcuni in particolare, chiamati in causa a ragione di loro conoscenze e/o competenze specifiche.

Mi ritengo di parte perché ho avuto modo di conoscere Paolo e so anche cosa significa condividere rischi con le colleghe, i colleghi, le collaboratrici i collaboratori, le donne e gli uomini delle scorte.

Tutti quelli che negli anni 80 iniziarono a combattere le mafie con metodi di contrasto nuovi, tutti a Palermo, come a Palmi o a Trapani o a Reggio Calabria e in molti altri centri a notevole densità mafiosa, avevano messo in conto la possibilità di essere uccisi, il dolore e le difficoltà delle famiglie. Nessuno avrebbe mai potuto immaginare la sorte fin qui toccata ai caduti di via D’Amelio.

Intendo sorte “processuale”, per una una vicenda costellata di fallimenti ed ancora priva di verità giudiziaria completa.

Pensavo che da subito ci potessero essere risposte alle domande di Fiammetta.

Sono necessarie anche risposte pubbliche, o quantomeno assicurazioni pubbliche che le risposte saranno fornite all’autorità giudiziaria competente.

La verità giudiziaria ha bisogno del processo e la attenderemo.

La verità storica appartiene alle famiglie, al paese, alla memoria di Paolo Borsellino e di Agostino Catalano, di Emanuela Loi, di Vincenzo Li Muli, di Walter Eddie Cosina e di Claudio Traina. Nessuno può tirarsi indietro.

Se è vero che vi furono depistaggi di spessore non indifferente che inquinarono il primo processo, è anche vero che rispondere alle domande poste può essere un buon punto di partenza per capire la ragione dei depistaggi. Il disimpegno nel rispondere alle domande sarà colpevole, e sarà anche colpevole il volgere la testa altrove, il considerare le domande come lo sfogo di familiari incapaci di accettare un fallimento giudiziario ed un destino di silenzio a fronte di rituali, di celebrazioni ridondanti di retorica.

Che senso ha plaudire al richiamo del Capo dello Stato alla ricerca della verità se poi non seguono comportamenti concludenti?

Tutti quelli che ancora ci sono, tutti hanno il dovere di rispondere, magari per dire cose già dette e che possono essere sfuggite al dolore dei familiari, certamente per fugare perplessità e forse, e perché no, per trasformare un errore anche incolpevole e la sua spiegazione in un momento di impulso investigativo nuovo.

Per chi ha avuto un ruolo istituzionale è un imperativo morale, a maggior ragione se collega o amico di chi è caduto per tutti noi.

Per chi ha oggi un ruolo istituzionale è un dovere intervenire, rimuovendo qualsiasi ostacolo alla ricerca della verità storica.

La commissione regionale antimafia della Regione Sicilia è intervenuta.

Dai primi riferimenti giornalistici si ha la conferma di un quadro complessivo inquietante.

Proviamo dunque a rispondere e solo così potremo presentarci a tutti i prossimi 19 luglio senza vergogna.

Proviamo a rispondere a tutte le domande, anche se mi permetto di cambiare l’ordine o di accorparle.

La prima riguarda le misure di sicurezza adottate per proteggere Paolo, le donne e gli uomini che con lui condividevano i rischi di quei giorni.

Credo che alla Prefettura di Palermo ed alla competente direzione o al competente ufficio centrale del Ministero dell’Interno debba esistere la documentazione inerente la protezione di Paolo. A questa domanda possono rispondere dunque il Prefetto di Palermo pro tempore e il Ministro per l’Interno pro tempore. E potranno essere anche ascoltati o riascoltati i colleghi dei poliziotti caduti per riferire tutto ciò che può essere utile per ricostruire quei giorni terribili.

Si può rispondere anche alla domanda su quello che può definirsi il primo accesso sui luoghi.

Dal verbale di sopralluogo dovrebbero emergere i nomi di coloro che coordinarono il primo accesso. Immagino vi fossero il Procuratore di Palermo, aggiunti, sostituti e forse ci sarà stato anche il Procuratore di Caltanissetta. E tra gli intervenuti, i cui nomi dovrebbero emergere dal verbale presente negli atti processuali, alcuni saranno ancora vivi. Rispondano dunque alla domanda.

Giuseppe Ayala potrà dare una risposta in relazione alla specificità della domanda di Fiammetta. È stato PM al processo istruito dal pool di Palermo. Ha vissuto una carriera intensa come magistrato e come politico.

Altre risposte ci aspettiamo dai componenti della Procura di Caltanissetta. Forse erano giovani e inesperti all’epoca, ma oggi sono certamente in grado di valutare, alla luce dell’esperienza acquisita, eventuali disfunzioni, errori, pressioni, sensazioni. Devono rivisitare il vissuto, ripartire da zero, individuare eventuali errori o escluderli. Il depistaggio fin qui accertato non può essere un alibi che coinvolge la nazione intera.

Il Ministero della Giustizia è dotato di un Ispettorato composto da magistrati in grado di condurre ispezioni amministrative ed inchieste, nel rispetto dell’autonomia dei giudici con riferimento alle valutazioni di merito.

IL Ministro della Giustizia pro tempore potrebbe dunque promuovere un’inchiesta per ricostruire con la lettura degli atti e l’audizione dei protagonisti di allora, magistrati, investigatori, cancellieri etc., le condotte poste in essere nel corso delle investigazioni, la loro corrispondenza alle regole processuali ed eventuali condotte inadeguate.

Perchè non fu sentito Pietro Giammanco sulle circostanze indicate nella domanda specifica? Ci aspettiamo anche di sapere perché non fu convocato Paolo Borsellino che pubblicamente aveva detto di avere cose importanti da riferire. Perchè?

A questa domanda ciascuno dei componenti di allora delle Procure di Caltanissetta e di Palermo può dare una risposta. Si può pensare che Paolo volesse lanciare un messaggio generale e pubblico al quale fare seguire la sua verità processuale. E si può anche legittimamente pensare che fosse stato costretto a rendere pubblica la sua richiesta perchè quella avanzata in forma riservata non era stata accolta.

Paolo Borsellino negli anni 90 era un magistrato professionalmente preparato e forgiato alla scuola della legalità e della prova. La sua vita professionale lo testimonia. Era un magistrato maturo, consapevole che al di fuori della prova legittimamente acquisita c’è il nulla, il vuoto processuale, se si vuole l’inutile teorema. Dunque nella richiesta d’essere ascoltato c’era sicuramente la consapevolezza che solo un atto formale, una deposizione verbalizzata poteva dare concretezza processuale ai suoi pensieri.

Perché dunque non fu convocato? Possono essere date risposte alle altre domande specifiche rivolte ai magistrati che all’epoca condussero le indagini.

Ma anche poliziotti, carabinieri, cancellieri che vissero quegli anni, tutti oggi devono sentire il dovere di una rivisitazione degli eventi.

Importante è stato il lavoro della Commissione regionale antimafia della Regione Sicilia.

In questo senso un contributo rilevante possono offrirlo anche il Presidente del Consiglio e il Ministro dell’Interno pro tempore. E’ in loro potere chiarire se ci sono o se non ci sono atti utili per nuove investigazioni negli archivi del Ministero dell’Interno o dei servizi di sicurezza e, nell’ipotesi affermativa, rimuovere eventuali ostacoli alla loro conoscenza pubblica o riservata all’autorita’ giudiziaria procedente. Offrano con sensibilità istituzionale un ulteriore passaggio importante nella ricerca della verità, nella lotta alla mafia.

Fiammetta Borsellino non è sola.

I moltissimi giovani che negli anni hanno capito cosa è la mafia e cosa è la vera antimafia saranno sempre con lei.

Confrontarsi con il passato è ineludibile. I ruoli istituzionali svolti e quelli in essere impongono doveri istituzionali. Non confrontarsi ha il valore della diserzione.

Muovendo dalle risposte alle domande poste potremo muovere passi decisivi verso una verità che i congiunti di Agostino, Claudio, Emanuela, Vincenzo,Paolo e Walter e tutti noi attendiamo.

Nino Di Matteo, nell’audizione pubblica il 17 settembre davanti alla Commissione del C.S.M., ha ripercorso alcuni momenti del suo impegno nei vari processi, e pur rappresentando preoccupazioni per possibili strumentalizzazioni delle legittime istanze di verità, ha sostanzialmente indicato con le sue riposte e i suoi chiarimenti la strada che anche altri potranno percorrere per la ricerca della verità.

Speriamo che sia pubblicata integralmente sui media la relazione della Commissione regionale antimafia della Regione Sicilia in modo che diventi patrimonio di conoscenza integrale per tutti.

Credo che milioni di Italiani, soprattutto giovani, continueranno ad alimentare in modo sempre più pressante la richiesta di risposte e di verità affinché i prossimi 19 luglio possano essere giorni di resurrezione civile per il paese intero.

Non credo ci si possa sottrarre.

Ernesto Morici

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