Le conseguenze “lacrime e sangue” di un’eventuale dichiarazione di fallimento. Il personale in esubero del Comune verrebbe dichiarato “in disponibilità”. E gli amministratori ritenuti responsabili rischierebbero l’ineleggibilità per cinque anni
Palazzo Zanca è davvero sull’orlo del fallimento? Se ne parla da anni, lo si dice con maggiore convinzione in questi giorni. Non spetta certo a noi l’ultima parola, ma cercare di capire cosa accadrebbe in caso di dichiarazione di dissesto finanziario è pressoché un obbligo. Il tutto è disciplinato dal Testo unico degli enti locali, che all’articolo 244 prevede che «si ha stato di dissesto finanziario se l’Ente, Comune o Provincia, non può garantire l’assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili, ovvero esistono nei confronti dell’Ente locale crediti di terzi cui non si possa fare validamente fronte né con il mezzo ordinario del ripristino del riequilibrio di bilancio né con lo straordinario riconoscimento del debito fuori bilancio». Un presupposto di base fondamentale, ribadito da una circolare ministeriale dell’aprile 2010 che fa un po’ di chiarezza su molti aspetti legati al dissesto finanziario, è che un Comune non può cessare di esistere come una qualsiasi azienda che fallisce. Ecco perché, per poter garantire la continuità amministrativa, la dichiarazione di dissesto crea una frattura tra il passato ed il futuro. Pertanto, tutto ciò che è relativo al pregresso, compresi i residui attivi e passivi non vincolati, viene estrapolato dal bilancio comunale e passato alla gestione straordinaria della liquidazione la quale ha competenza relativamente a tutti i debiti correlati ad atti e fatti di gestione verificatisi entro il 31 dicembre dell’anno precedente a quello dell’ipotesi di bilancio riequilibrato, pur se accertati successivamente, anche con provvedimento giurisdizionale.
UN TAGLIO NETTO COL PASSATO
Con decreto del presidente della Repubblica viene nominato un apposito organo composto da tre membri e che si dedica esclusivamente al passato, presentando per l’approvazione ministeriale un piano di estinzione con il quale viene azzerata la situazione patologica che ha creato il dissesto, mentre l’ente con l’ipotesi di bilancio (che deve essere varata dal consiglio comunale) inizia, di fatto, una nuova vita finanziaria e amministrativa «sgombra del peso del passato – spiega il Ministero – e con un bilancio risanato e corrispondente a tutti i principi di una corretta ed efficiente amministrazione finanziaria». Viene sospesa la decorrenza degli interessi sui debiti e il blocco delle azioni esecutive. Ma soprattutto non è più previsto che lo Stato possa concorrere al finanziamento dei debiti pregressi tramite un mutuo ventennale o un contributo straordinario: il Comune deve uscire dalle secche con le proprie forze.
L’ente dissestato, dunque, deve approvare un nuovo bilancio, vagliato dal Ministero dell’interno, basato sull’elevazione delle entrate al livello massimo consentito dalla legge, sul contrasto all’evasione e sul contenimento di tutte le spese. Altre misure da mettere in campo: l’alienazione del patrimonio disponibile non strettamente necessario all’esercizio delle funzioni istituzionali, la destinazione degli avanzi di amministrazione dei cinque anni a partire da quello del dissesto e delle entrate straordinarie, la contrazione di un mutuo a carico del proprio bilancio. Lo stesso Ministero chiarisce che «la dichiarazione del dissesto è, per precisa disposizione, un atto dovuto nel ricorrerne dei presupposti e l’unico strumento al fine di colmare immediatamente l’eventuale sperequazione dei contributi statali». Questo perché lo Stato assicura l’adeguamento dei contributi erariali alla media pro-capite della fascia demografica di appartenenza.
PIU’ TASSE PER TUTTI
Entrando nel dettaglio, nella prima seduta successiva alla dichiarazione del dissesto e, comunque, entro trenta giorni dalla data di esecutività della delibera di dichiarazione del dissesto, il consiglio comunale deve deliberare, relativamente alle imposte e tasse locali di propria spettanza, le aliquote e le tariffe di base nella misura massima consentita. Viene esclusa la tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, per la quale è prevista la determinazione delle tariffe con provvedimento da adottare annualmente sulla base dei costi di gestione del servizio. E ancora: l’ente è tenuto ad effettuare una rigorosa rivisitazione delle spese, procedendo preliminarmente alla riorganizzazione dei servizi con criteri di efficienza, eliminando sprechi, inefficienze, diseconomie. Quindi, deve rivedere le dotazioni finanziarie eliminando o, quantomeno riducendo, ogni previsione di spesa che non abbia per fine l’esercizio di servizi pubblici indispensabili. L’ente dovrà poi verificare accuratamente la situazione economico-finanziaria degli enti, istituzioni e organismi dipendenti, nonché delle aziende speciali, adottando i provvedimenti necessari per l’eventuale relativo risanamento.
PERSONALE E DEBITI
“Lacrime e sangue” anche per le spese del personale: l’ente è obbligato a rideterminare la dotazione organica, dichiarando in eccesso e collocando in disponibilità il personale comunque in servizio che risulti in soprannumero rispetto al rapporto medio dipendenti-popolazione, fermo restando l’obbligo di accertare le compatibilità di bilancio. L’altro obbligo in materia di spesa di personale, ricorda il Ministero nella sua circolare di un anno e mezzo fa, è quello di ridurre la spesa per il personale a tempo determinato a non oltre il 50 per cento della spesa media sostenuta per l’ultimo triennio antecedente l’anno cui si riferisce l’ipotesi di bilancio. Per quanto riguarda i debiti, i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni possano ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento.
Restano due domande da soddisfare: chi dichiara il dissesto? E cosa succede agli amministratori responsabili dello sfascio? Prima risposta: nel caso in cui dalle deliberazioni dell’ente, dai bilanci di previsione, dai rendiconti o da altra fonte l’organo regionale di controllo (la Corte dei Conti) venga a conoscenza dell’eventuale condizione di dissesto, chiede chiarimenti all’ente e motivata relazione all’organo di revisione contabile assegnando un termine, non prorogabile, di trenta giorni. Se ci sono le condizioni, la Corte assegna al Consiglio, con lettera notificata ai singoli consiglieri, un termine, non superiore a venti giorni, per la deliberazione del dissesto. Decorso infruttuosamente il termine, la Corte nomina un commissario ad acta per la deliberazione dello stato di dissesto. La seconda risposta arriva dall’art. 248 del Testo unico: «Gli amministratori degli enti locali che la Corte dei conti ha riconosciuto responsabili, anche in primo grado, di danni da loro prodotti, con dolo o colpa grave nei cinque anni precedenti il verificarsi del dissesto finanziario, non possono ricoprire, per un periodo di cinque anni, incarichi di assessore, di revisore dei conti di enti locali e di rappresentante di enti locali presso altri enti, istituzioni ed organismi pubblici e privati, ove la Corte, valutate le circostanze e le cause che hanno determinato il dissesto, accerti che questo è diretta conseguenza delle azioni od omissioni per le quali l’amministratore è stato riconosciuto responsabile».
In definitiva, dissesto è sinonimo di disastro? Di certo non è una buona circostanza, ma il Ministero dà una chiave di lettura fondamentale: «Dalle risultanze ispettive si è evidenziata la presenza di dissesti non dichiarati che alla fine producono conseguenze ancora più gravi in quanto se la crisi finanziaria viene dichiarata in tempi fisiologici, c’è la possibilità, con uno sforzo congiunto, di ottenere un vero risanamento. Se questo non accade, l’uscita della crisi diventa un’operazione impossibile da raggiungere soltanto con azioni a livello locale e, di conseguenza, diventa necessario un intervento a livello centrale». A che punto siamo noi?
UN DISSESTO ALL’EPOCA MANCATO-La normativa sul dissesto prevedeva, sino a qualche tempo, un intervento straordinario dello Stato, nel caso in cui l’ente non potesse far fronte ai debiti con i propri mezzi finanziari di bilancio.,
Lo Stato infatti consentiva all’ente dissestato di contrarre con la Cassa depositi e prestiti un mutuo per il finanziamento dell’indebitamento pregresso il cui onere era a totale carico dello Stato stesso. A tal fine era previsto l’utilizzo delle quote spettanti all’ente del fondo per lo sviluppo degli investimenti, nella sostanza poche decine di milioni, se bene ricordo, delle vecchie ire.
Per indebitamento pregresso si intende, non solo, la copertura del disavanzo di amministrazione risultante dal conto consuntivo dell’ultimo esercizio chiuso, precedente alla eventuale dichiarazione del dissesto che, tecnicamente, assorbe (disavanzo di amministrazione) anche quello eventualmente evidenziato nei “conti Consuntivi” degli esercizi pregressi, disavanzo di amministrazione, per la verità, mai evidenziato nei documenti contabili predisposti dall’Amministrazione e votati dal Consiglio Comunale di Messina, in questo ultimo decennio, ma,innanzitutto i debiti fuori bilancio riconoscibili, in quanto rispondenti ai fini istituzionali del nostro Comune (illecito arricchimento). In un primo momento gli enti furono favorevoli alla dichiarazione di dissesto e molte amministrazioni locali lo dichiararono con una certa facilità, spinti, sopratutto, dal contributo stata, quasi a fondo perduto, che avrebbero ricevutole, e convinti che i provvedimenti da adottare non fossero tanto penalizzanti sia per la collettività amministrata, per come diremo appresso, che per i politici interessati al “dissesto” (impedimento per cinque anni ad assumere cariche pubbliche).
L’ente dissestato era tenuto, infatti, ad approvare un nuovo bilancio, vagliato, non dai dirigenti di ragioneria dell’ente dissestato, ma da esperti ministeriali per quanto attiene alla veridicità delle previsioni iscritte sia in entrata che in uscita, sulla base dell’elevazione al livello massimo consentito dalla legge sopratutto per le entrata “tributarie” ed “extra tributare” a carico della collettività amministrata,, e dichiarando la mobilità del personale risultante dalla “pianta organica” dell’Ente dissestato, eccedente sulla base di parametri fissati dalla legge in ragione della popolazione e della fascia demografica di appartenenza. L’ente locale era altresì tenuto a contribuire all’onere della liquidazione procedendo all’alienazione di quella parte del patrimonio (i gioielli che sono stati pubblicizzati) disponibile non strettamente necessaria all’esercizio delle funzioni istituzionali.
La dichiarazione di dissesto in breve tempo fu ritenuta dagli enti, ed anche dal Comune di Messina, pertanto una soluzione da evitare al fine di non solo essere costretti, ad emanare provvedimenti impopolari (elevazione al livello massimo consentito dalla legge delle tassazioni di competenza comunale)., ma sopratutto per non affidare la gestione economica e finanziaria a soggetti ministeriali verso i quali gli organi politici dell’ente non avrebbero potuto imporre di realizzare quanto era stato promesso agli elettori, e non solo…
La dichiarazione del dissesto è tuttavia,una per precisa disposizione di legge (ignorata dal nostro Comune) un atto dovuto (senza alcun dubbio politico dato che è il Consiglio dell’Ente dissestato ad assumersi la responsabilità (articolo 246 del decreto legislativo 267/2000 che, al primo comma, così integralmente recita ;” 1. La deliberazione recante la formale ed esplicita dichiarazione di dissesto finanziario è adottata dal consiglio dell’ente locale nelle ipotesi di cui all’articolo 244 e valuta le cause che hanno determinato il dissesto. La deliberazione dello stato di dissesto non è revocabile. Alla stessa è allegata una dettagliata relazione dell’organo di revisione economico-finanziaria che analizza le cause che hanno provocato il dissesto.
Nella sostanza, volendo riepilogare, le cause determinanti che determinano il “dissesto” dell’Ente di Enti riguardano la incapacità assicurare i servizi essenziali, ma. sopratutto di non detenere un importo rilevante di “debiti fuori bilancio” da non poter essere sanato con i mezzi finanziari propri dell’Ente
Il tentativo posto in essere dal Comune di Messina di ricorrere a provvedimenti di emergenza quali il ricorso all’Indebitamente da “derivati” oppure alla “finanza creativa” proposti ed adottata dagli organi politici che hanno amministrato la nostra città in questo ultimo decennio, alla luce degli avvenimenti recenti, hanno, invece, aggravato la situazione non solo sotto il profilo economico, ma sopratutto finanziario de nostro Comune. Certamente detti provvedimenti hanno consentito alle amministrazioni di “tirare a campare” e di rinviare al futuro l’adozioni di misure strutturali che avrebbe potuto, invece, se adottate in tempo, dare sollievo alle dissestate finanze del Comune.
. Si può. quindi, con certezza, dedurre che, la mancata dichiarazione, a suo tempo, di “dissesto” da parte degli organi di governo del Comune di Messina e quindi la mancata possibilità di utilizzo dei provvedimenti eccezionali previsti dalla normativa, all’epoca, in vigore consistente in rilevanti interventi statali, ha reso un danno incalcolabile alla nostra città. Per concludere la dichiarazione di “dissesto” deve ritenersi una operazione “politica” che, purtroppo danneggia interessi di parte, sopratutto, politica. ( della casta locale).
azzeccatissima la foto, dato che le U.C.L. (unità di crisi locale) esistono solo sulla carta e sui cartelli
dopo le 2 consecutive retrocessioni in serie b in ambito calcistico..mai replicate ne prima ne dopo…che facciamo si replica con il dissesto?solo piccoli comuni lo hanno dichiarato…sarebbe un altra vergogna..l ennesima.
Dichiarare il DISSESTO FINANZIARIO vuol dire portare il Comune al risanamento finanziario, tramite l’azzeramento dei debiti pregressi e quindi riportare il Comune alle condizioni di Ente “SANO”.
Potere pilotare la dichiarazione di dissesto è un notevole vantaggio per gli Amministratori in carica.
Si ha stato di dissesto finanziario se l’ente non può garantire a) l’assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili; b) se esistono nei confronti del Comune crediti liquidi ed esigibili di terzi, cui il Comune non possa fare validamente fronte.
In presenza delle superiori condizioni: impossibilità a garantire i servizi indispensabili e grave situazione debitoria, il Consiglio comunale assume apposita deliberazione che reca la formale ed esplicita dichiarazione di dissesto finanziario e valuta le cause che lo hanno determinato.
La delibera dello stato di dissesto non è revocabile.
Alla delibera di dichiarazione del dissesto finanziario è allegata una dettagliata relazione dei Revisori dei Conti, che deve analizzare le cause che hanno provocato il dissesto.
La dichiarazione del dissesto finanziario non comporta le dimissioni del sindaco e della giunta, né lo scioglimento del consiglio comunale.
Solo il consiglio comunale può deliberare lo stato di dissesto. Tale decisione non può essere assunta né dalla Corte dei Conti, né dal Governo, né dalla Regione.
Una volta che il consiglio comunale delibera il dissesto finanziario, sindaco, giunta e consiglio restano in carica, ma vengono affiancati da una Commissione di tre membri, espressamente designata dal Ministero degli Interni e nominata con decreto del Presidente della Repubblica.
La Commissione si occupa del disavanzo pregresso, compresi i residui attivi e passivi non vincolati, che vengono estrapolati dal bilancio comunale, mentre l’amministrazione comunale gestisce un bilancio “risanato”, senza debiti.
A seguito della dichiarazione di dissesto; a)-sono sospese tutte le procedure esecutive ed i decreti ingiuntivi a danno del Comune ; b) Le procedure esecutive pendenti e quelle rigettate sono dichiarate estinte d’ufficio dal giudice con inserimento nella massa passiva; c) i pignoramenti eventualmente eseguiti non vincolano l’ente ed il tesoriere, i quali possono disporre delle somme;d) i debiti insoluti e le somme dovute per anticipazioni di cassa già erogate non producono più interessi, né sono soggetti a rivalutazione monetaria; e) tutta la massa debitoria viene ridotta del 30%; f) le aliquote e le tariffe comunali sono portate alla misura massima consentita; g) l’Ente deve deliberare la rideterminazione della pianta organica, rispettando il rapporto dipendenti/popolazione, che per il Comune di Messina è di 1/121. Il personale in esubero verrà messo a disposizione o in mobilità.
In caso di dissesto, gli Amministratori che abbiano provocato, con responsabilità, lo stato di dissesto, i revisori dei conti che non abbiano svolto con diligenza il loro compito, i Consiglieri comunali che abbiano approvato bilanci falsati, nei cinque anni precedenti la dichiarazione di dissesto, se riconosciuti, dalla Corte dei Conti, colpevoli di dolo o colpa grave, non possono più ricoprire cariche pubbliche amministrative per cinque anni.
Ho già scritto che il dissesto finanziario è l’unico programma di governo, che oggi può salvare la nostra città e punire i responsabili di questo disastro civile e finanziario.
Costringerà a ridurre l’organico del Comune e delle Partecipate,costringerà ad una riorganizzazione del lavoro del Comune per recuperare l’enorme evasione dell’ICI/IMU,degli oneri di urbanizzazione e costruzione,dei tributi di ogni tipologia,della TARSU,del SUOLO PUBBLICO;costringerà purtroppo per i messinesi onesti all’aumento massimo delle aliquote dell’addizionale IRPEF,dell’IMU/ICI,insomma di tutti i tributi;costringerà finalmente a punire gli amministratori responsabili.Poi quando andremo alle elezioni manderemmo a casa questi falliti,sperando che non prevalga il BUDDACE che è in noi.