Continua il Taormina Book Festival, apprezzatissimi gli incontri con i premiati del festival Ian McEwan e Jhumpa Lahiri.
Il desiderio continua ad essere protagonista a Taormina. La sua lode continua ad essere intessuta poiché ogni attività umana parte da esso, dalla passione, dalla voglia di conoscere, di fare, è motivo di ogni nostra azione. E in un mondo che vuole imporci la razionalità assoluta, la concretezza, la fissità, non possiamo dimenticare quello che scrive Shakespeare: «We are such stuff as dreams are made», siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni. Sogni, passioni, ideali, desideri, sono ciò che costituisce intrinsecamente la nostra identità, ciò in cui ci riconosciamo e l’incentivo a partire dal quale orientiamo le nostre scelte.
Per tale motivo, è ancora un inizio tutto filosofico ad aprire la terza giornata del Taobuk. Continua il seminario del professore Curi con gli studenti vincitori del bando. Dibattiti e confronti tra i ragazzi sul grande tema del desiderio. A partire Platone e la denuncia, cui Curi tiene particolarmente, dell’errata traduzione della sua opera “Politéia” in Repubblica, e della politica come figlia di una realtà in cui tutto va alla rovescia, fino alle opinioni sul desiderio dei più grandi pensatori contemporanei, affrontate dai giovani studiosi.
Alle 10,45, al Palazzo dei Congressi un incontro tra i principali esponenti del giornalismo sui cambiamenti che sta affrontando il nostro tempo, da Andrea Angiolini a Lino Morgante; si resta ancora all’interno di una realtà giornalista alle 11,45, riflettendo sul diritto inalienabile della libertà, libertà di espressione e di stampa che, come ritiene il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella “è un diritto fondamentale tutelato dalla Costituzione”.
Proseguono le degustazioni con Robert Camuto, “cosa sta dietro un apparentemente semplice calice di vino? Quale storia? Quali desideri?”; i cuochi stellati Anthony Genovese e Andrea Berton riflettono sui cambiamenti della loro attività e della loro passione da quando la ristorazione è diventata un’attività imprenditoriale di grande prestigio.
Alle 15,30, Simona Sparaco, vincitrice del premio DeaPlaneta con il suo ultimo romanzo “Nel silenzio delle nostre parole”, racconta la difficoltà dell’esprimere se stessi e i propri desideri alle persone che amiamo, il desiderio negato di essere noi. Dialoga con lei un’altra grande autrice, già ospite dell’evento, Cristina Cassar Scalia.
A seguire l’incontro con Donald Sasson, una riflessione sulla crisi della nostra società e il destino che può scaturirne, tramite la presentazione del suo ultimo libro “Sintomi morbosi”, fenomenologia della fase di transizione che stiamo vivendo, preludio a quale sviluppo?
Sempre a Palazzo dei Congressi, l’incontro gestito dalla Tim con Vera Gheno e Paolo Conticini sul rapporto tra tecnologia e desiderio, tecnologia come incentivo, ispirazione e alimento del desiderio e la premiazione, ancora, della vincitrice del contest.
La tecnologia ha cambiato il nostro modo di approcciarci al desiderio, perché ne è divenuta incentivo fondamentale, l’uomo ha tramite essa superato i suoi limiti, ha racchiuso in essa la prova concreta di dove la sua intelligenza e la sua capacità possano giungere.
Alle 18,00, ha inizio l’incontro con Kindle e gli autori che hanno trovato in esso un ausiliario del proprio successo. Vengono spiegate, infatti, tattiche e suggerimenti per avere fortuna con la letteratura.
In una piazza IX Aprile riempita interamente dal pubblico, poi, l’incontro centrale della giornata con i premiati del Taobuk Award, i grandissimi Ian McEwan e Jhumpa Lahiri, rispettivamente alle 19,00 e alle 21,00.
McEwan analizza le infinite declinazioni dell’animo umano, ma l’urgenza presente in ciascuna di esse del desiderare, percorrendo idee e sogni diversi, da Petrarca a Tolstoj, passando per Alfred Tennyson. “Come riteneva Newton, siamo nani sulle spalle di giganti e ne abbiamo forte la necessità, dobbiamo stare sulle spalle di chi ci ha preceduto” raccomanda. Gli scritti, di autori fondamentali come questi, soprattutto, restano immortali e cambiano le loro sfaccettature, si incarnano in noi, fondando il presente sul passato, in una reciprocità continua che costituisce il migliore tra i nutrimenti di uno scrittore.
“3-4 anni fa ero ad una riunione con tanta gente noiosa, presi il block notes e mi venne in mente, spontaneamente, una frase: “sono qui a testa in giù e mi ritrovo dentro una donna”. Non so chi mi abbia dato questa frase, non sapevo chi fosse o dentro chi fosse, solo che era un feto dentro una donna e che urlava ciò” racconta. Nasce, così, “Nel Guscio”, l’ultimo romanzo dell’autore vincitore del Booker Prize, il più importante riconoscimento letterario britannico.
“Come a tutti i romanzieri, capita di essere colpiti da una idea che non sai come arrivi ma che diviene sempre più balenante e inarrestabile; scrivere romanzi è sempre intraprendere un viaggio dal cui viaggio ne partono altri nelle menti dei nostri lettori che non conosciamo; descriviamo desideri che spesso appartengono ad essi non a noi e quindi il romanzo diviene uno strumento di indagine per scoprire il mondo, per porre l’accento sull’imparare a desiderare le cose e per permettere alla storia di vivere con il desiderio che abbiamo avuto noi di scriverla” continua, spiegando il valore, e il magico potere che la letteratura ha. Per questo è troppo pericoloso avere sempre un solo punto di vista, “la letteratura è democratica, accetta tutti, basta avere carta e penna, non servono milioni di euro” conclude. È il principale strumento di salvezza che abbiamo in una società che fa sempre più uscire la nostra parte barbarica.
Dopo il suo incontro, quello con Jhumpa Lahiri, la quale racconta, invece, la sua incredibile storia di vita, l’eco costante della tensione al desiderio e il valore fondamentale da lei attribuito alle parole, espressione di mondi diversi, da cui nasce la decisione di scrivere totalmente in Italiano “Dove mi trovo”.
Nasce a Londra, di origini bengalesi, si trasferisce negli Stati Uniti, dove scrive “L’interprete dei malanni”, che le fa ottenere il Premio Pulitzer 2012, si trasferisce, poi, in Italia dove passa tre anni a Roma, perfezionando il suo italiano, “la mia identità è divisa” spiega.
Scrive una raccolta di racconti italiani del Novecento, da pubblicare prima di tutto in Inghilterra e negli Stati Uniti, ma “proprio a partire da questo lavoro, dalla volontà di creare questa antologia, ho dovuto arrendermi al desiderio inspiegabile di allontanarmi da ciò che mi era vicino, di cambiare lingua e quindi il mio modo di esprimere il mondo, ne avevo bisogno, anche se la scelta non è stata facile, non è stata compresa, ho perso tanti lettori” racconta.
Vi era in lei “il desiderio di abitare nuovi santuari creativi”, una tensione cui adempiere inevitabilmente, “il desiderio è un atto creativo che vuole realizzarsi e dura finché non si realizza, in quel momento svanisce, non è più desiderio, ma frenarlo è impossibile” spiega.
Dalla stessa tensione nasce il romanzo “Dove mi trovo”, grande messa in scena proprio del desiderio. È un mosaico in cui la protagonista, una professoressa di Lettere quarantenne, si relaziona con i luoghi che vive, esprimendo “un’attitudine conoscitiva della solitudine di una donna, che resta sulla soglia dell’incontro con l’altro ma non la supera mai” come spiega Eleonora Lombardo in dialogo con l’autrice. La protagonista compra sempre i biglietti da sola per ogni evento, per poi accompagnarsi ad altri gruppi senza farne mai parte davvero, “fare la solitaria è diventato il mio mestiere”, “ma amo farmi travolgere dai particolari altrui” troviamo scritto tra le pagine.
“La sua storia nasce in viaggio, l’ultimo capitolo era il primo che ho scritto, è sintesi di tutto il resto. La mia protagonista è sempre davanti a gruppi cui non appartiene, è sempre circondata dagli altri, gira il mondo, è sempre in movimento ma si sente personalmente stanziale, intrappolata nella sua stessa vita, provando un attaccamento morboso verso il suo posto nel mondo, il suo quartiere e la sua gente. Non so esattamente lei chi sia, una sorta di mio alter ego, ma anche no, perché è molto diversa da me, il mio percorso è l’opposto, io non sono una cosa sola e non appartengo ad un luogo solo, ma ho scoperto Roma, una città in cui vedo questo tipo di rapporto fortissimo con il proprio quartiere e anche io in meno di sente anni lo sento sulla mia pelle” rivela ai suoi lettori Lahiri.
Ma la forza del libro sta nel rivelare la capacità del desiderio di mettere sempre tutto in movimento, proprio come il Taobuk sta facendo, ancora una volta regalando ai suoi spettatori forti emozioni.