Il primo dei due titoli internazionali presenti nel programma, in attesa dell’israeliano Honeymood
TAORMINA – È l’iraniano “Fractal“ il primo dei sei film in concorso presentato al Taormina Film Fest, nonché il primo dei due titoli internazionali presenti nel programma, in attesa dell’israeliano Honeymood.
Diretto dall’iraniana Rezvan Pakpour, al suo esordio dietro la macchina da presa, “Fractal” è concepito come il primo di una trilogia incentrata sullo studio dei comportamenti umani. “È un grande piacere che il mio film faccia parte di questo Festival così importante. Mi sarebbe piaciuto essere là, ma a causa del Covid non è stato possibile” – esordisce in video conferenza stampa Pakpour, la quale spiega poi la genesi della sua trilogia:
“L’idea nasce dal paese in cui vivo, l’Iran, e dai suoi continui conflitti sociali. In questo primo capitolo approfondisco il concetto di dominio e sete di potere, due aspetti molto frequenti nella società iraniana. Le persone ‘dominate’ diventano delle marionette prive di volontà e sentimenti, si limitano ad essere dei corpi inerti”.
Un Iran dal realismo sociale
Equilibri spezzati in un microcosmo, quello della piccola compagnia di studenti di teatro alle prese con l’ultima notte di prove dello spettacolo, che fa riaffiorare temi sociali quali l’individualità e l’identità, in un’atmosfera che potremmo definire pirandelliana.
“Gran parte dei film girati nel mio paese cerca di mostrare gli effetti della società sugli individui. Il mio fa l’opposto, esamina gli effetti che gli individui hanno sulla società. Quasi tutti i film iraniani si basano sul realismo sociale. Io ho provato a mostrare in chiave simbolica l’effetto del realismo sociale che pervade il mio paese, dove tutto è simbolismo. Ma alla base di tutti questi conflitti e guerre c’è sempre la mancanza di comunicazione diretta tra le persone”.
Il cast
“Tutti gli attori del cast sono studenti di teatro con un forte background di recitazione scenica. Gran parte delle cose che accadono nella storia sono vere, sono situazioni che quei ragazzi avevano vissuto. Per questo per loro è stato semplice immedesimarsi durante la lettura del copione. Avevamo uno script, ma molti dei dialoghi sono stati del tutto inventati e improvvisati, grazie proprio alle loro esperienze di vita di tutti i giorni”.