Presentato al Taormina Film festival "La madre", di Angelo Maresca, liberamente ispirato al romanzo di Grazia Deledda, con Carmen Maura e Stefano Dionisi
Liberamente ispirato alla prosa fortemente evocativa dell’autrice sarda Grazia Deledda – al romanzo breve, omonimo, della stessa – il lungometraggio, di genere drammatico, di Angelo Maresca (già autore cinematografico, teatrale e televisivo e regista di un corto) è stato presentato al “Taormina FilmFest 2014” ed è attualmente in proiezione sugli schermi messinesi.
L’interpretazione dell’attrice Carmen Maura – di almodoveriana memoria – nel ruolo di Maddalena (ovc “nomen” è “omen”) sembra – senza esserlo realmente – apparentemente fuori ruolo. La resa del personaggio è, invece, degna di menzione nelle sembianze sofferte di una madre dal tormentato passato, cupa e nevrotica, pur se – di suo – inquieta ed emotivamente suggestionabile, che spia il figlio, Don Paulo, tentando di riportarlo sulla retta via, che sembra aver smarrito.
Maddalena, si comprende, ha immolato agli altari l’esistenza del figlio, per essere assolta dai propri – presunti – peccati e dall’influenza – per lei nefasta – della carne.
Stefano Dionisi, impersona il figlio, prete irrisolto, in bilico fra estasi e sensi di colpa (generati in parte dall’influenza materna, assai pesante).
Laura Baldi è Agnese, compagna del prete, la bionda seduttrice, peccaminosa e tentatrice, con un ingombrante passato e Luigi Maria Burruano un personaggio-chiave, che impersona il male, ed è legato alle esistenze dei protagonisti. I personaggi principali appaiono in uno come monadi chiuse nei propri universi soffocanti ma anche come intimamente saldati in un passato … che non è passato …
Le scenografie esteticamente impeccabili ed assolutamente essenziali e la resa filmica attraverso soventi sottrazioni verbali, rendono pienamente quel contesto estremamente rigido e quasi ascetico (con particolare riguardo all’abitazione del prete e della madre, alla canonica e alla chiesa): le inquadrature nelle locations menzionate di sculture, le potenti immagini religiose e iconografiche, gli schemi cromatici e le costruzioni architettoniche metafisiche – rese con spirito manicheo – dominano ossessivamente lo schermo.
Si colgono qua e là citazioni di Simone Weil e Bresson e, ovviamente, emergono le parole utilizzate dalla Deledda. In definitiva l’esordio registico appare promettente, ma inconsueto, soprattutto nella lettura della fede intesa come libertà e vi è padronanza assoluta delle immagini: tutto ciò forse trova un limite nella resa estremamente melodrammatica e lenta della storia, senza alcun alleggerimento, né agilità registica. In chiusura, il religioso “quasi privo di sguardo”, in quanto senz’anima, supera la propria crisi esistenziale con un colpo d’ala spirituale … in questa composizione filmica, che però appare racchiusa entro una statica cornice.
Di Tosi Siragusa.