Impressioni conclusive dopo la serata finale
Il 20 luglio, al Teatro Antico di Taormina, si è tenuta la cerimonia di premiazione del 64° Taormina FilmFest e dopo aver seguito e recensito ognuna delle giornate, dal 14 – con la “premiere” messinese, per così dire – alla serata finale – con giornate cinematografiche presso il Palazzo dei Congressi taorminese – proverò a trarre qualche riflessione conclusiva, essendomi concessa qualche giorno di sospensione del giudizio.
Intanto citerò i premi, speciali e non, l’appena istituito premio CIRS, per il bel lungometraggio Road to the Lemon Grove, a Dale Hildebrand; il premio Angelo D’Arrigo al “medico dei migranti”, il lampedusano Pietro Bartolo, già fra i protagonisti dell’intenso Fuocoammare di Gianfranco Rosi, vincitore dell’Orso d’Oro nel 2016; il premio Sebastiano Gesù (istituito per volontà dei vertici di Videobank) in memoria del critico cinematografico siciliano, scomparso il 2 luglio, a Luca Vullo per Cca Semu, con focus proprio sui lampedusani; ancora, il premio Ferrari De Benedetti, consegnato dalla giornalista Paola Ferrari a Alfredo Lo Piero per La libertà non deve morire in mare, e infine, il premio Videobank, consegnato da Ginevra Chiechio a Lello Analfino, leader dei Tinturia. Premi “Tauro D’Oro” a Rupert Everett, per Miglior Attore e Miglior Regia (e questo è il suo brillante esordio) per The Happy Prince – L’ultimo ritratto di Oscar Wilde – e a Maurizio Millenotti per i migliori costumi, per la medesima opera, quale sapiente omaggio al letterato irlandese; alla carriera, all’attore, regista e sceneggiatore Michele Placido, all’attore statunitense Richard Dreyfuss e all’interprete statunitense Matthew Modine. Per il miglior film indipendente l’assegnazione meritatissima del Tauro D’Oro è andata a Angelica Zollo per la regia del lungometraggio, in anteprima internazionale, Trauma is a Time Machine, con Angie Duke, Gabe Fazio e Elizabeth A. Davis. Il Taormina Arte Award quale miglior produttore è stato consegnato a Gianluca Curti, quello quale miglior distributore a “Sunfilm Group”, per la miglior sceneggiatura a Leave No Trace di Debra Granik; menzione speciale, ben assegnata poi, a Be Kind di Nino Monteleone e Sabrina Paravicini; infine, gli importantissimi “Taormina Arte Awards” per miglior attore al valente Alberto Mica per Transfert di un ispirato Massimiliano Russo, come miglior attrice a Leven Rambin per Tatterdemalion, e anche, per la migliore regia, a Lorena Luciano e Filippo Piscopo per Will be Chaos e per miglior film a Once Upon a Time in November di Andrzej Jakimovski. Fra i premianti Monica Guerritore, Maria Grazia Cucinotta e Matthew Modine, oltre che rappresentanti delle Istituzioni. Fra i giurati, cinque donne, si è distinta il presidente della giuria Martha De Laurentiis. Presenze significative quella di Maria Sole Tognazzi, regista e sceneggiatrice di Perfetti sconosciuti, ma anche regista di Io e lei e Viaggio sola, con una Margherita Buy sempre in parte, di Ricky Tognazzi e Simona Izzo, e di Sabina Guzzanti, ma in primis quella di Terry Gilliam, sicuramente la personalità artistica più eclettica del ciclo “In conversazione” – condotto da Silvia Bizio – ironico regista cinematografico (Brazil e L’esercito delle dodici scimmie) e produttore, influenzato, nella sua formazione professionale, dai luoghi natii del Minnesota, ove l’immaginazione fertile è sempre stata fulcro essenziale da trasfondere nella realtà. Memorabile la sua versione della storia di Don Chisciotte. E così, non solo di cinema deve discutersi per la sua poderosa carriera, ma anche di direzione di opere liriche, come la Damnation de Faust e Benvenuto Cellini, entrambe di Berlioz. Anche l’attore palermitano caratterista Tony Sperandeo si è imposto per un brillante e non scontato intervento in ricordo dei giudici Falcone e Borsellino, raccontando di un suo sogno, ove, nei panni di un giornalista, non riusciva più a atterrare in una Sicilia scomparsa, e i due magistrati, ridotti a icone, gli chiedevano di non ricevere più vane commemorazioni fin quando non verrà fuori la verità sulle mafie che hanno decretato la loro fine.
Certo, la Monica Vitti de “L’avventura” di Michelangelo Antonioni, scelta quale personaggio archetipico del Festival, rimanda ad altri tempi davvero e quella intitolazione alla forzata rapidità di realizzazione – con punte di improvvisazione – che, sovente richiamata, ha intaccato l’organizzazione della kermesse; bella comunque la scelta di aprire con le musiche dal vivo dell’Orchestra a Plettro di Taormina, che richiama una storicità cinematografica persa, ma da recuperare. Patrocini importanti e sponsor hanno indubbiamente supportato l’opera di Videobank, finanziatore di questa edizione, che si confida sia solo di passaggio, per traghettare davvero, già dal 2019, la rassegna ai fasti del passato, e le potenzialità comunque espresse (al di là degli evidenti limiti, come le difficoltà persino di far funzionare i microfoni e le ripetute piccole gaffes del conduttore e giornalista siciliano Salvo La Rosa) sembrano essere davvero notevoli. La presenza di opere e artisti internazionali, l’aver prediletto tematiche come quelle dei diritti umani, o a carattere sociale come quella dell’inclusione, l’avere riportato in auge la competizione fra le opere cinematografiche, dopo anni di assenza, ne sono ottimo indizio, così come l’intenzione di fare ritornare il Festival al suo naturale periodo dell’ultima settimana di giugno, considerato più favorevole anche per l’auspicata interazione con i “Nastri d’argento”.
Tosi Siragusa