Presentata alla Sala Laudamo la pièce firmata dalla messinese Laura Giacobbe. Tra speranze disilluse e un’immarcescibile voglia di riscatto, scorre senza tentennamenti un lavoro esaltato dalle brillanti interpretazioni di Antonio Alveario e Mario Incudine
Messina, città d’Europa. Messina, città della Vara. 14 agosto, afa opprimente, in un appartamento ricolmo di libri un professore inetto all’azione e un disoccupato tuttofare dialogano con franchezza del proprio presente. La città dello Stretto si prepara al grande evento: l’Arcivescovo punta il dito contro la massoneria, illustra un cammino di speranza, accantona per un momento ogni tipo di retorica. Alle spalle dei protagonisti scorrono le immagini della processione, le voci dei messinesi coinvolti investono la sala. “Viva Maria” per un giorno, urlo corredato da un sincero sentimento di riscatto sociale, prima che tutto resti identico a prima: i potentati d’affare continuano a governare occultamente la città, i giovani valutano l’idea di raggiungere altre mete per inseguire la propria indipendenza, i cinquantenni si barcamenano illusi dalla sicurezza delle proprie professioni.
All’interno della storica diatriba tra apocalittici ed integrati, i protagonisti dell’atto unico “L’Assunzione” di Laura Giacobbe sembrano rivestire le due posizioni in modo quasi paradigmatico: l’ex muratore Mario (il cantautore Mario Incudine) decide di svaligiare la casa del capocantiere Neanderthal (Paolo Molonia), reo di averlo umiliato con un licenziamento ingiusto; il suo amico professore (Antonio Alveario) prova in un primo momento a dissuaderlo per poi lasciarsi attrarre dalla realizzazione dell’impresa. Seguirà un epilogo agrodolce per uno spettacolo in grado di parlare delle tragedie dell’attualità con il dolce linguaggio della commedia. “Scrivete solo di ciò che conoscete” prescriveva Ernest Hemingway ai giovani autori: Laura Giacobbe ha rispettato con garbo e originalità il consiglio del celebre narratore statunitense, compiendo con “L’Assunzione” un percorso di brillante analisi del presente privo di pericolose derive da cartolina stereotipata. Raccontare la Sicilia al di là degli scontati e talvolta irritanti stilemi postconsoliani o postdarrighiani, rifuggire dalle tentazioni dell’onnipresente Teatro dell’Assurdo per sporcarsi le mani con la realtà quotidiana attraverso dialoghi rapidi, ammalianti intercalari, eleganti fusioni tra recitazione, immagini video e voci fuori campo. Dalle riprese iniziali (tratte da una puntata di Todo Modo a cura di José Villari e Alessandro Gheza) al discorso dell’arcivescovo letto da un riconoscibile Nino Frassica, tutto scorre senza tentennamenti in una trama lineare che non rinuncia al colpo di scena finale. Arricchita da intuizioni personali e da un’elegante gestualità, la recitazione dei due protagonisti Mario Incudine e Antonio Alveario sorprende per naturalezza e sincera adesione al testo di Laura Giacobbe; brevi, ma fulminanti, le apparizioni di Paolo Molonia e del “fratello” Francesco Natoli, abili a chiudere con un senso tutto terreno di verace appartenenza una piece compiuta in ogni minimo dettaglio.
Prendendo le mosse da un classico come “Ricorda con rabbia” di John Osborne o da alcuni recenti lavori dello spagnolo Pau Mirò, Laura Giacobbe imbastisce un’opera in cui l’ardore degli onesti e l’arguta disonestà dei furbi devono costantemente fare i conti con l’immobile realtà siciliana, variopinto blob in grado di immobilizzare ogni tentativo di rivolta. Un lavoro prezioso lungamente applaudito dalle poche decine di persone presenti alla Sala Laudamo: meriterebbe maggior calore e una diversa affluenza uno spettacolo pronto a far conoscere anche fuori dai confini siciliani le contraddizioni di una Messina dipinta senza falsi infingimenti. Altra speranza, da sommare a quelle rivolte storicamente verso obiettivi ben più noti: la strada imboccata, almeno, sembra quella giusta.
Domenico Colosi
Bravi….Viva Maria Viva Messina
Bravi….Viva Maria Viva Messina