Una riflessione sul desiderio di accettazione. La storia tragicomica di un uomo che cerca il suo posto nel mondo
E’ ancora un successo per la piece vincitrice del Napoli Fringe Festival 2015. Dopo gli ottimi riscontri avuti a giugno con la rappresentazione alla sala Laudamo di Messina, “Un uomo a metà” inaugura la rassegna Scenanuda al teatro B. Joppolo di Patti, con la regia di Roberto Bonaventura e l’incredibile interpretazione di Gianluca Cesale.
Cos’è l’inibizione? A volerne dare una definizione, quello che viene fuori da una ricerca sommaria è: impedimento, interdizione, rallentamento, arresto, blocco, chiusura…
Probabilmente, facendo un’autoanalisi, nessun lettore potrebbe davvero dirsi esente dall’aver mai provato inibizione di fronte a qualcosa. L’inibizione è quella forza che parte dai meandri istintuali dell’inconscio, dettata da quell’impulso animale che tutti conserviamo, ma che poi, incapace di trovare sbocco, si muove sempre in ricircolo, auto-caricandosi e provocando una tensione immotivata e sfiancante, un potenziale inutile e gravoso che taglia le gambe, secca la lingua e svuota il cervello. Il testo di Giampaolo Rugo racconta questo stato d’animo, con tutti i risvolti sociali che ne conseguono, personificandolo nella figura di Giuseppe Rossi. E quando appare sulla scena, fin dalle prime battute, questo personaggio si presenta senza riserve per quello che è. O perlomeno, per quello che crede di essere. La prima cosa che il pubblico riceve è l’immagine mentale che Giuseppe Rossi ha di se stesso: quella di un uomo a metà. Il tonfo cupo del suo passo zoppo ne annuncia l’ingresso sulla scena, e mentre si muove avanti e indietro, esponendo al pubblico ludibrio la sua fragilità, quel suono ripetuto è come un mantra, che ci preannuncia, prima ancora di sentirne il racconto, il leitmotiv della vita di quest’uomo. “Mi chiamo Giuseppe Rossi, e questa e la mia storia”, esordisce il protagonista, e il fantasma dell’inadeguatezza si è già fatto strada nei nostri presentimenti. Eppure lui ha sul viso un sorriso enigmatico, che sembra aggiungere sottovoce “non preoccupatevi, non è una storia strappalacrime. E’ solo la mia storia, ed è anche un po’ comica a pensarci bene”. Giuseppe è un rappresentante di articoli religiosi, abbastanza soddisfatto della sua attività. In passato però, in gioventù, le sue aspirazioni erano altre. A diciassette anni era una promessa calcistica e l’orgoglio dei suoi familiari, prima che uno scontro in campo con un avversario mettesse fine al sogno. Il trauma però non lo stronca e Giuseppe va avanti con solerzia, entrando nel campo del commercio e facendo il suo lavoro con soddisfazione. Fino all’incontro con Maria, erede del più grande negozio di articoli religiosi di Roma. L’innamoramento, dalle premesse entusiasmanti, si rivela una nuova delusione, con la scoperta deprimente dell’impotenza, e se l’animo buono del protagonista scongiura il pericolo di un’invettiva feroce (e legittima) contro il destino, un po’ di seccatura Giuseppe comincia a provarla. L’approssimarsi del matrimonio, poi, porta con sé la sagoma inquietante dell’addio al celibato, il momento epocale in cui tutti assisteranno, di nuovo alla sua disfatta; ma proprio nel momento di maggior timore, inaspettatamente la situazione si ribalta. Un angelo salvifico interviene a restituire al protagonista l’autostima perduta, e la voglia di riscatto su tutti i suoi demoni, presenti e passati… ma l’audacia ritrovata sottende reazioni imprevedibili e la vicenda si conclude con un epilogo tragicomico e assolutamente inatteso.
“Un uomo a metà” riflette sul desiderio di accettazione, sulla pressione di quelle aspettative che attribuiamo al mondo, alla società, alla famiglia… ma che spesso, inavvertitamente, siamo noi stessi a costruirci attorno, intrappolandoci di nostra mano in un dedalo senza via d’uscita. Così, in effetti, la storia di Giuseppe Rossi è uno stratagemma per invitarci a prendere la vita con più leggerezza, perché per quanto vogliamo fare bene, il destino arriva e si prende gioco di noi, mischiando a caso le nostre carte e lasciandoci, alla fine di tutto, senza altra risposta possibile che un sorriso.
Laura Giacobbe