“Cabaret”, un ballo sfrenato al crepuscolo della civiltà

“Cabaret”, un ballo sfrenato al crepuscolo della civiltà

Domenico Colosi

“Cabaret”, un ballo sfrenato al crepuscolo della civiltà

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sabato 31 Ottobre 2015 - 23:03

Un Teatro Vittorio Emanuele vicino al tutto esaurito per la riedizione di uno dei musical più noti di sempre. Pregevoli le interpretazioni dei due protagonisti Giampiero Ingrassia e Giulia Ottonello

Berlino, anni ‘30. Decadenza e rovina ai primi vagiti del nazismo. Uno scrittore americano in cerca di ispirazione entra in contatto con il Kit Kat Club, un locale di cabaret diretto da un mefistofelico Maestro di Cerimonie. Stella del varietà è la svagata Sally Bowles, assoluta protagonista, tra balli lascivi e antiquate tenerezze, di una danza sfrenata sull’orlo della catastrofe. La svastica si guadagna il centro della scena: la mostra delle atrocità è appena al suo inizio.

Tratto da “Addio a Berlino” dell’americano Christopher Isherwood, “Cabaret” è stato sin dal suo esordio nel 1966 uno dei musical di maggior successo della storia di Broadway, primo atto di una fortuna poi replicata con lo splendido lungometraggio firmato da Bob Fosse nel 1972 con una strepitosa Liza Minnelli (otto premi Oscar tra cui Miglior Regista e Miglior Attrice Protagonista). Quantomeno arduo, dunque, essere all’altezza di modelli di questo genere, tra i migliori prodotti artistici del settore mai proposti dall’industria culturale statunitense. Presentato in un Teatro Vittorio Emanuele vicino al tutto esaurito, il “Cabaret” nella versione di Saverio Marconi con Giampiero Ingrassia e Giulia Ottonello non delude le attese, pur soffrendo per un opaco adattamento dei testi originali. Immersi in una scenografia più funzionale che gradevole, i protagonisti mostrano immediatamente l’abilità di occupare con sapienza lo spazio tra continui andirivieni e cambi d’abito. Se le doti espressive di Giampiero Ingrassia (qui nei panni del misterioso Maestro di Cerimonie) godono ormai da diverso tempo di consolidata stima, la piacevole sorpresa è rappresentata dalla freschezza di Giulia Ottonello, apprezzabile per le capacità vocali e la straordinaria presenza scenica; un plauso particolare, dunque, a chi ha scommesso unicamente sul perfezionamento della propria formazione una volta uscita dalla scuola dei talent (in questo caso Amici di Maria De Filippi). Pregevoli anche le altre interpretazioni, da Michele Renzullo (il fruttivendolo ebreo Herr Schultz) ad Altea Russo (Fräulein Schneider).

Life is a cabaret”, cantano in coro i protagonisti mentre l’orrore bussa alle loro porte: il sonno della ragione si avvicina e lo spazio per la libertà personale si restringe ineluttabilmente. Nessun sussulto di vitalità è più permesso. Solo un enorme scatolone sul palcoscenico: dalla finestra di un lager una mano chiede aiuto tra le sbarre. La fine.

Domenico Colosi

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