L’acquerello noir di Tino Caspanello in scena al Teatro dei 3 Mestieri
Tra Sinatra e Buscaglione, spari, inseguimenti, onore e morte. Joe e Angelo sono due killer scalcagnati, cugini troppo distanti per intuito e visione del mondo: Piccolo Cesare e Forrest Gump a condividere gli stessi asfittici spazi, braccati dalla polizia, in fuga dal proprio destino. Dopo l’ennesimo omicidio, i due gangster trovano rifugio nei camerini di un teatro, occasione ideale per mettere in scena ingenuità e illusioni perdute. Paure e sentimentalismi da una parte, un amore ritrovato dall’altra: un fugace incontro prima del tragico epilogo.
Dopo un inizio claudicante Don’t Cry Joe, nuovo spettacolo di Tino Caspanello in scena al Teatro dei 3 Mestieri, trova sviluppi e movenze per sfuggire al peso delle citazioni: l’umorismo à la Billy Wilder delle prime battute è presto soppiantato dalla poetica della vita quotidiana cara all’autore di Pagliara; l’ironico gangsterismo scivola così nel noir, la farsa in tragedia. Un ritorno a casa grazie a pochi interventi di drammaturgia necessari per illuminare di originalità un lavoro altrimenti spento nei più classici cliché del genere. Provvidenziale, non a caso, l’ingresso di Cinzia Muscolino, l’amante di Joe scappata per inseguire il sogno del palcoscenico: le trascurabili schermaglie dei due killer (interpretati con poco ritmo da Tino Calabrò e Stefano Cutrupi) trovano senso compiuto dopo lunghe e farraginose premesse, le atmosfere si incupiscono e lo spettacolo ritrova minime ragioni di interesse.
Nei frammenti di poesia che Caspanello individua per condurre la sua ricerca sull’ineffabile, raramente trovano cittadinanza elementi dissonanti: in scena personaggi positivi piegati dagli eventi, sideralmente distanti da ogni forma di eroismo classico. Un teatro della serenità anche nella tragedia, in un fluire di sogni protetti dal liquido amniotico dell’arte: non fa eccezione Don’t Cry Joe, divertissement citazionista, acquerello noir per cuori semplici.
Domenico Colosi