Il fortunato allestimento di Roberto Bonaventura ha chiuso la quinta edizione della rassegna ospitata dal Parco ecologico San Jachiddu. Eleganti le interpretazioni di Gianluca Cesale e Lucilla Mininno
“È ridicolo pensare che l’amore possa rispondere all’amore … La gente ci muore attorno, tutto qui … Questo mondo, così, non è sopportabile. Gli uomini muoiono e non sono felici”. Tragedia “cabarettistica” dell’intelligenza, questa rappresentazione del 30 luglio (con replica il 31 luglio) presso il Forte San Jachiddu – location che è essa stessa opera artistica ed espressione di riuscita riconciliazione fra natura e arte – nell’ambito della Sezione “Teatro necessario”, rassegna dall’ambizioso respiro internazionale, che include rappresentazioni popolari e teatro altissimo, appunto ”necessario”.
Dalla celebre drammaturgia di Albert Camus, con riferimenti a Svetonio (sottotraccia) e ad altre fonti storiche, l’intitolazione trae la sua genesi dall’affermazione dello stesso protagonista, fattosi mostro per troppo amore, e per la constatazione che se il tesoro e le finanze sono considerati al pari della vita, l’esistenza non deve dunque avere alcun valore.
Se la scrittura è gioco che raddoppia il gioco con gli attributi del lutto, nel Caligola di Camus l’identificazione dello scrittore con il soggetto rappresentato raggiunge vette inimmaginabili e l’autore sparisce sotto l’apparato della parola.
Caligola, imperatore folle, secondo la ricostruzione seguita, perse ogni interesse per la vita, dopo la morte della sorella-amante Drusilla deificata, e divenne uomo ossessionato dall’impossibilità, avvelenato di disprezzo e orrore.
L’imperatore appare sovente “già morto” (pur se in vita) e a tratti quale funambolo, in equilibrio sul baratro dell’incondizionato e smisurato libero arbitrio.
Caligola-poeta, il puro, riesce a far balenare negli spettatori l’idea che l’assenza, il bianco, possano divenire oggetto di venerazione, ed è maestoso nella somma negatività, come al centro di una vicenda ultra-terrena … essendo infatti passato alla storia per aver staccato da sé delle immagini favolosamente “assolute”, che potessero agire dopo la sua morte.
Ogni accadimento è dall’imperatore condotto attraverso una lucida razionalità, attraverso gesti estremamente logici, (talmente da risultare apparentemente irrazionali), con sottigliezza gonfiati in atti d’audacia.
Accurata la regia di Roberto Bonaventura, co-direttore artistico del “Forte Teatro Festival”, dignitose le drammatizzazioni “finto-leggere” di Monia Alfieri, Lucilla Mininno, Raimondo Brandi, Gianluca Cesale, Ferruccio Ferrante, ciascuna per i rispettivi ruoli (principali e secondari, ma mai marginali), di Cesonia, il fantasma di Drusilla, Caligola, Cherea, Lepido, etc. che solo insieme formano una complessità significante.
Si segnala la presenza in scena silenziosa e suggestiva di Giovanni Boncoddo e quella di Giuseppe Contarini che l’”osservatore educato ed attento”.
Ottimo corredo hanno infine fornito le luci di scena approntate dall’altro co-direttore artistico della rassegna, Stefano Barbagallo, le musiche dal vivo anni 60-70, i costumi, cabarettistici, e non, di Monia Alfieri.
In conclusione, se il teatro è arte, tutelata da Dioniso, con finalità visionaria e di trasformazione del reale, noi spettatori, effettivamente, siamo stati attraversati e segnati dalla rappresentazione della notevole pièce in trattazione, che ha rivisitato, con riferimenti all’attualità (appropriati vista la deferenza al dio denaro e a logiche di mercato, che connota i nostri tristi tempi) un classico del teatro impegnato attraverso la messa in scena di teatranti, che replicano il gioco dell’esistenza.
Tosi Siragusa