Le rane. Una giornata particolare

Le rane. Una giornata particolare

Tosi Siragusa Giovanni Francio

Le rane. Una giornata particolare

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domenica 09 Luglio 2017 - 06:07

Di seguito la lettera relativa ad alcuni episodi accaduti prima della rappresentazione del classico di Aristofane

Con la presente desideriamo segnalare gli indecorosi – e a nostro avviso gravissimi – accadimenti intercorsi nella serata del 3 luglio ultimo scorso in occasione della rappresentazione Le rane con la regia di Giorgio Barberio Corsetti, interpretata fra gli altri dagli attori comici Ficarra e Picone, presso il Teatro Greco di Siracusa. Giunti in loco da Messina alle ore 19, trovavamo affisso un avviso indicante per i giorni 3 e 5 “Posti esauriti”. In presenza di file indisciplinate, poco comprensibili spiegazioni da parte degli operatori allo sportello davano poi ad intendere la sussistenza di una lista di attesa “ove iscriversi per avere possibilità di accesso”. Così facevamo, lasciando i nostri nomi, senza riuscire ad avere una benché minima rassicurazione sulle possibilità reali di accedere allo spettacolo; dopo circa trenta minuti di attesa, con aspiranti spettatori già in lista – c’era chi ritirava biglietti a nome di oltre 50 persone con pagamento anche in monetine – si apprendeva che molti avevano fruito di prenotazione telefonica del posto, riuscendo così a bloccare i posti unici a scapito di chi ignorava l’esistenza di una tale opportunità, mai pubblicizzata. Sembrava già una situazione un po’ fuori controllo, ma nulla poteva far presagire il resto degli eventi. Alle diciannove e trenta, ottenuti gli agognati biglietti (tutti al costo di 26 euro eccetto per i residenti, per i quali il prezzo fissato era di 15 euro) dopo aver consumato uno spuntino molto veloce presso l’unico punto di ristorazione interno, sicuramente inadeguato a quella pletora di spettatori, accedevamo al Teatro, scoprendo, un’ora prima dell’inizio dello spettacolo, che tutti gli spalti erano occupati, residuando qualche “posto” di fortuna sulle pietre. Ovviamente, essendo a conoscenza delle più elementari regole sulla sicurezza e decoro soprattutto di un Teatro Antico, decidevamo di non occupare posti su scale, percorsi inagibili etc., rassegnandoci a star “per terra” su dei sassi. Ci accorgevamo subito però che i “posti” che avrebbero dovuto essere lasciati liberi in primis per ragioni di sicurezza per garantire le vie di fuga, erano occupati da spettatori meno civili, che a richiesta di abbandonare quelli che non erano assolutamente posti regolamentari e che per di più impedivano totalmente la visuale a spettatori civili(tanti oltre noi) rispondevano in malo modo rifiutando di andarsene. Si creava una bagarre anche perché né i vigili del fuoco, sollecitati all’intervento, né gli operatori della fondazione INDA (alcuni pur provvisti di cartellino disconoscevano il proprio ruolo) davano “alcun segno” né risultavano esser presenti esponenti regionali dei beni culturali. I carabinieri intervenuti, su segnalazione di evidenti problemi di ordine pubblico per mancato rispetto delle più elementari regole di sicurezza – molta gente era appollaiata anche sulle scale allocate in cima al sito archeologico, altri avevano scavalcato le corde che cingevano le zone non accessibili e lì sedevano tranquillamente – non riuscivano a impartire alcun ordine, identificando i riottosi che, in barba alle forze dell’ordine e in spregio all’elementare rispetto presso i propri simili e per un sito archeologico illustrissimo, continuavano a inveire rifiutando di alzarsi. Dopo vibrate proteste, che per circa 20 minuti hanno purtroppo, ma giustamente, impedito l’inizio dello spettacolo, agli altoparlanti si diffondeva un messaggio secondo cui lo spettacolo avrebbe dovuto avere inizio e chi non era soddisfatto dei “posti” (sic!) poteva recarsi in biglietteria per il rimborso. Si veniva poi a sapere che quella voce era riferibile al Commissario dell’INDA che, non avendo il polso della situazione, attribuiva il malcontento a problematiche di non gradimento dei posti. Increduli, ed essendo fin da adolescenti appassionati di spettacoli classici, con una frequenza annuale pressoché assidua, tentavamo di trovare un posto di fortuna ove fosse possibile vedere e sentire qualcosa, ma alla visione di tanti spettatori che continuando a sollevare le corde andavano definitivamente e comodamente a occupare ogni porzione inagibile – in spregio anche a qualsiasi norma etica e di rispetto – disgustati e impossibilitati ad apprezzare in quelle contingenze lo spettacolo, lasciavamo il Teatro, recandoci in biglietteria, ove per il rimborso dei 26 euro cadauno dovevamo affrontare l’ennesima sfiancante fila. Alle 21,30, a venti minuti dall’inizio dello “spettacolo” eravamo dunque sulla strada di ritorno per Messina. In conclusione, partiti da casa alle 16,30, facevamo ritorno a Messina dopo sette ore lunghissime e pesanti, con l’amarezza di aver assistito a qualcosa di tristemente spettacolare, la fine di una civiltà ormai al punto più alto di decadenza, ove la considerazione dei diritti dell’altro è ormai carta straccia, i beni monumentali e archeologici non sono minimamente protetti per impossibilità di approntare una tutela dei siti che sia veramente tale, ove per la dura legge di mercato si mettono in vendita posti inesistenti, ove “the show must go on” in barba a qualunque violazione, ove le forze dell’ordine non riescono ad ottenere il rispetto delle regole, e paga solo, infine, chi quelle regole avrebbe voluto rispettarle.

Sembra proprio calzare a pennello il lamento di Aristofane, che avrebbe voluto richiamare in vita, tramite Dioniso, uno dei grandi drammaturghi greci, nostri antenati, che oggi certo inorridirebbe del degrado attuale,essendosi smarriti sia lo spirito degli spettacoli classici che quei canoni di rappresentazione con forti valenze etiche di rito, educativo e formativo delle coscienze, vissuto quale ritiro e raduno di un popolo;ai nostri tempi le rappresentazioni possono al più somigliare ormai a un evento più o meno riuscito e nei casi peggiori ad un circo di borgata, un misero carrozzone messo su in questa povera calpestata irredimibile bella Terra di Sicilia.

Tosi Siragusa e Giovanni Franciò

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