Il pubblico si sbellica dalle risate al Teatro Brancati di Catania
CATANIA (gi.gi.).- Dall’anno scorso Tuccio Musumeci ha un suo Teatro a Catania. Un sogno che ogni teatrante vorrebbe realizzare. Si chiama Brancati, in onore dello scrittore e drammaturgo di Pachino che di nome fa Vitaliano, scomparso all’età di appena 47 anni in un ospedale di Torino. Musumeci ha voluto inaugurare la seconda stagione del Brancati con L’incidente di Lunari: una commedia del 1966 che ricalca gli stilemi delle pochades francesi, confezionate con intrighi mirabolanti e salaci, che hanno avuto in Feydeau il suo più autorevole esponente. Invero il lavoro di Lunari s’ispira a quel Die hose (Le mutande) che Carl Sternheim scrisse tra il 1911 e il 1915 assieme ad altre commedie da costituire l’insieme un ciclo drammatico in sette esempi titolato Dalla vita eroica borghese. Con alcune varianti di nomi e d’ambienti, il nocciolo dello spettacolo, qui frazionato in due atti e con buoni ritmi da Giuseppe Romani, rimane lo stesso. D’uno spettacolo cioè dall’andamento boccaccesco che in maniera divertente e divertita scaglia puntuti dardi a quei portatori in-sani di difetti, vizi, compromessi, grettezze d’una certa società, ormai non soltanto italica, che perdurano ancora oggi e che sono evidenti segni ipocriti d’un certo perbenismo qualunquista. Il plot ruota attorno a un paio di mutande che la moglie d’un piccolo bancario perde durante l’inaugurazione d’una nuova succursale. Lei è una spigliata e nient’affatto timorata Concita Vasquez, lui un dittatorello in casa ma ossequioso a piedi giunti con i superiori, vestito da un Tuccio Musumeci che col suo scilinguagnolo catanese è in grado di far ridere anche chi soffre di depressione. La donna raccoglie velocemente l’intimo indumento e lo infila nella borsetta. Un “incidente”, una quisquilia che non sfuggirà agli occhi di tanti intervenuti, al punto che risveglierà le loro fantasie, intensificherà le pruderies represse e moltiplicherà gli scandali nel microcosmo di quel bancario. Fatto d’un unico ambiente: un salotto color salmone, divano verde-petrolio e poltrona gialla, fregi e arredi postmoderni in contrasto tra loro (bruttina invero la scena di Giuseppe Andolfo) che si tramuterà in una sorta d’alcova, frequentata da onorevoli, giovani arrapati (Giovanni Santangelo), direttori di banca (Agostino Zumbo), colleghi saccenti (Salvo Scuderi) con consorti petulanti al seguito (Carmela Buffa Calleo e Elisabetta Alma), e pure da due escort, nel secondo tempo (Egle Alma e Maria Rita Sgarlato), fatte arrivare in tarda serata da quell’impiegatuccio che le pagherà profumatamente e malvolentieri, giusto per esaudire le libidiche voglie del suo superiore che voleva trascorrere una notte orgiastica. Sono i momenti in cui gli intrighi si fanno più fitti e in cui le porte si aprono e si chiudono con velocità supersonica anche perché, per altri equivoci, sopraggiungeranno la padrona di casa in compagnia del voluminoso e infoiato onorevole di Marcello Perracchio che molti ricorderanno per vestire i panni del medico legale dei “montalbani” televisivi di Camilleri. Applausi calorosi alla fine e repliche sino al 15 novembre.- Gigi Giacobbe