Intervista a Pippo Pattavina e Tuccio Musumeci

Intervista a Pippo Pattavina e Tuccio Musumeci

Intervista a Pippo Pattavina e Tuccio Musumeci

giovedì 05 Marzo 2009 - 21:19

I due bravi attori catanesi interpreti al Vittorio Emanuele di Pipino il Breve di Tony Cucchiara

Musumeci è un catanese del 1934, mentre Pattavina, di quattro anni più piccolo, è originario di Lentini ma catanese a tutti gli effetti. Gli inizi del primo hanno a che vedere con mondo del cabaret e dell’avanspettacolo, quelli del secondo con l’ambiente delle canzoni e delle barzellette. In questo Pipino il breve, una commedia con musiche di Tony Cucchiara, un successo mondiale che va avanti da trentun’anni, con puntate in Europa, in Australia e nelle due Americhe compresa la mitica Broadway, Musumeci veste i panni del titolo e Pattavina quelli del re d’Ungheria, la cui figlia Berta, “dal grande piede”, dopo varie tribolazioni e peripezie riuscirà ad unirsi con quel vecchio re di Francia e verrà alla luce nientemeno che Carlo Magno. Li incontro entrambi prima d’una replica pomeridiana nei rispettivi camerini del Vittorio Emanuele dove lo spettacolo resterà in scena sino a domenica pomeriggio.

Credo che entrambi siate il continuum vivente di ciò che in Teatro hanno rappresentato i vari Musco, Grasso, Spadaro e Turi Fero. Sentite questo peso, questa incombenza sulle vostre spalle o no ?

Pattavina: “ Il fatto che lo dice lei mi inorgoglisce… non ci avevo mai pensato…mi riempie di gioia e di responsabilità. Il fatto poi d’essere un attore di lungo corso, non un centometrista ma un attore di fondo, significa che qualcosa ho seminato. Gli attori che lei ha citato sono stati attori non solo siciliani ma nazionali e mi piacerebbe emularli, accostarmi alla loro grandezza”.

Musumeci: “ Ho avuto la fortuna d’essere un allievo dei grandi. Ho fatto parte dello Stabile di Catania quando avevo 23 anni, un ragazzo e anche quando non partecipavo alle opere, andavo dietro le quinte e vedevo Rosina Anselmi, Umberto Spadaro, considerato il nostro Charlie Chaplin, Michele Abruzzo, Turi Ferro…Il mio cervello era non come un ragazzo d’oggi che guarda alla televisione il Grande Fratello, ma un bambino che assorbiva tutto: teatralmente mi sono servite queste spiate, dando poi sulla scena la mia genialità, il mio modo d’essere attore”.

Tutti e due avete preso parte oltre che a spettacoli comici di puro divertissement anche a lavori d’un certo impegno scritti da importanti autori. Siete stati protagonisti de I carabinieri di Beniamino Joppolo ( mi pare fosse la prima rappresentazione in teatro prima che Jean-Luc Godard ne facesse un film con lo stesso titolo), avete recitato testi di Giuseppe Fava come La violenza e Cronaca di un uomo, poi lei Pattavina è stato accanto ad Albertazzi nel Riccardo III di Shakespeare e ad Anna Proclemere nel Come prima meglio di prima di Pirandello e lei Musumeci era uno dei personaggi importanti de Il consiglio d’Egitto di Sciascia e ha interpretato alla grande Il guardiano di Pinter. Insomma perché siete passati da un eccesso all’altro, dal comico al tragico, senza una linea teatrale ben definita?

Pattavina : “ Io mi sento un cerchio di 360°, nel senso che l’attore deve essere come l’attore americano, in grado di cantare, ballare, recitare, tirare di scherma.. ecco io mi sento d’avere queste caratteristiche d’attore. Sono un attore che indifferentemente recita ruoli drammatici, comici, grotteschi, brillanti.. e così via. Certo questo può spiazzare lo spettatore, ma io mi sento così: un cerchio di 360°”.-

Musumeci : “ Posso solo dirle che io ho recitato in prevalenza personaggi grotteschi, tragici e comici nello stesso tempo, d’altronde come lei sa il comico nasce dal tragico. All’attore brillante, quale credo d’essere, viene più facile fare i ruoli drammatici”.

Credo che entrambi siate conosciuti dal grosso pubblico più in Sicilia che nel resto d’Italia. Avete mai pensato di trasferirvi chessò a Roma, a Milano, in una città del Nord, per lavorare in una dimensione diversa, con altri registi, con altri attori, con altri metodi, per avere quei riconoscimenti che sicuramente meritereste?

Pattavina : “ E’ una domanda che mi faccio da sempre. Diciamo da 35 anni. Più volte sono stato tentato di lasciare Catania e trasferirmi a Roma per giocare la grandissima carta della notorietà ufficiale, anche perché sono stato sempre conscio che la consacrazione ufficiale te la dà la Televisione e il Cinema. Io non rinnego niente del Teatro siciliano in vernacolo che ho fatto, mi manca però il grande respiro che vedo in tantissimi colleghi che vengono riconosciuti in strada dal grande pubblico. Sa perché non ho lasciato mai Catania? Perché sono un pigro, incapace di coltivare le pubbliche relazioni e non in grado di promuovermi da solo, pur sapendo che cu nesci rinesci ( chi esce riesce), come del resto hanno fatto Pippo Baudo, Leo Gullotta e Pino Caruso”.

Musumeci : “ Ho provato ad andare via da Catania nel 1970 quando con Baudo facevo alla televisione Sette voci, mentre Pino Caruso faceva Quelli della domenica. Con Caruso abbiamo poi recitato insieme nel Don Giovanni involontario di Brancati, ma il pubblico non ci ha presi sul serio, non ci ha creduto, pensava che venendo in teatro avrebbe visto quello che facevamo in televisione. Poi io ho continuato a fare teatro a Catania e Caruso a fare la televisione a Roma”.

Che cos’è il teatro per voi?

Pattavina: “ E’ anche togliersi le responsabilità. La professione più bella del mondo. Apparire davanti ad un pubblico che paga credo sia una delle cose più curiose e strane del mondo. Il Teatro è un modo d’inventarsi la vita come uno la desidera, d’essere sul palcoscenico quello che non si è mai stato per una o due ore nella vita. Non è vero che un attore si porta dietro il vissuto del personaggio, in quanto lo recita così come è, perché appena ti spogli sei te stesso. Il Teatro è bello perché andare in tournèe è come levarsi di dosso le responsabilità, fingendo di recitare la parte di quello che ha dispiacere di ciò che ha lasciato a casa ad altri. Il Teatro per un attore è una linfa di vita: anche se stanco dopo lo spettacolo, anche se colto da un infarto, sentire bussare la porta del camerino, sentire che chi entra ti dice che lo spettacolo è stato buono e tu sei stato bravo, l’infarto scompare. Il Teatro è una droga, un mestiere che si maledice certe volte ma di cui non si può fare a meno”.

Musumeci : “ Il Teatro è la mia casa. La casa che abito non ha teatro. Non so stare davanti alla televisione. Non so cosa fare a casa. Mi metto a pulire l’argenteria. Mi metto ai fornelli per dimenticare e cucinare ciò che mi passa per la testa. Poi ho necessità di uscire, di andare a Teatro anche se non debbo recitare. Vado negli uffici, parlo con le segretarie, mi aggiro per il teatro, sto in teatro. Quando ci sono le feste, come la Pasqua ad esempio, non vedo l’ora che finiscano per poter respirare quell’aria teatrale che per me è ossigeno, vita, rappresenta la vita. Forse è anche per questo che dallo scorso anno ho aperto a Catania un nuovo Teatro che si chiama Brancati che dirige mio figlio e che si trova alle spalle del Teatro Musco. Un modo pure di tuffarmi nel passato quando bambino di 8 anni mio padre mi portava al Teatro San Giorgi e davano Due dozzine di rose scarlatte di De Benedetti con Vittorio De Sica e Umberto Melanti.-

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