Secondo atto del “Progetto Parola Pasolini” con lo spettacolo di teatro-danza diretto da Sarah Lanza. Il lavoro rientra nell’ambito delle iniziative di Laudamo in Città, promosse dalla compagnia Daf – Teatro dell’Esatta Fantasia in collaborazione con il Teatro Vittorio Emanuele
In continuità con il grande successo che ha riscosso il primo spettacolo della trilogia “Progetto Parola Pasolini”, ovvero “Vento da Sud Est” per la regia di Angelo Campolo, in scena il secondo appuntamento: “Terra che non sa”, spettacolo di teatro-danza diretto da Sarah Lanza, debutterà venerdì 15 gennaio alla Sala Laudamo, ridotto del Teatro Vittorio Emanuele di Messina. Repliche fino a domenica 17 e dal 22 al 24 gennaio.
“Ho voluto riprendere e trasformare il lavoro già eseguito magistralmente in precedenza da Campolo”, dichiara la regista e coreografa Lanza, “per evidenziare le difficoltà ed i disagi di una famiglia africana, costituita da madre e padre, in contrapposizione all'ovvia quanto tranquilla quotidianità di quella italiana, riportando in scena ancora una volta i Banks, come in Vento da Sud Est”. Con “Terra che non sa”, però, il progetto teatrale assume l’aspetto del teatro-danza: a parlare sulla scena saranno i movimenti, il corpo come linguaggio e traduzione della condizione umana odierna. A tal proposito è stata fondamentale la scelta delle musiche, uno studio che Sarah Lanza ha condotto basandosi sulle preferenze pasoliniane: dallo stile classico con Mozart e Bach a quello swing, scanzonato e grottesco. Importanti le citazioni che rivelano l'interessante ricerca teatrale sul pensiero di Pasolini: da “Teorema” e dall’“Edipo Re” agli “Appunti per un’Orestiade Africana”, fino alla “Ricotta”. Come sottolinea Elvira Ghirlanda, curatrice della prefazione allo spettacolo di Sarah Lanza, “sincretizzare tempi e luoghi tra essi distanti, ricordi remoti e desideri di un futuro inconciliabile, la paura e l’istinto di sopravvivenza. E’ questo “Terra che non sa”. È un sogno di Pasolini”.
Una clessidra, come simbolo del tempo che scorre e del deserto che cresce e decresce, diventa la metafora attraverso la quale i personaggi si rappresentano; la cecità, i gradi della conoscenza, la liricità ed il dramma sulla scena fanno di Terra che non sa lo spettacolo dello scambio e del confronto, della domanda e dell'indagine interiore, ma anche, e soprattutto, sociale. Fondamentali sono state le testimonianze raccolte dai giovani migranti del centro “Ahmed”, che hanno contribuito a creare la storia che caratterizza la famiglia africana il cui destino, grazie anche ai due “testimoni” pasoliniani, Antonio Vitarelli e Michele Falica, viaggia attraverso luoghi e nuove speranze, sofferenze e difficoltà, ma che si intreccerà per una nuova vita con quello della famiglia italiana. Bisognerà, dunque, partire, attraversare il deserto per scoprire i volti ed il futuro dell'uomo di oggi. “Per tutto il giorno il deserto fu sempre lo stesso. Con l’ardore terribile del sole che si tornava ad identificare col pericolo e con la morte” (Pier Paolo Pasolini, Teorema).