Brillante affabulatrice, l’artista argentina spazia tra i generi per raccontare il dramma dell’indigenza in un mondo globalizzato
Il giro del mondo in ottanta minuti. Dalle bidonville brasiliane ai cimiteri del Mar Mediterraneo, l’artista argentina Marcela Serli presenta al Teatro dei 3 Mestieri una cartografia della miseria, della disperazione che avvolge in un abbraccio mortale le periferie del mondo. Un breve preambolo da intrattenitrice pura, poi la discesa negli inferi della povertà, tra sradicamenti forzati e sopraffazioni politiche: la tragedia dei desaparecidos, i gommoni in balia della tempesta, la metodica distruzione della Siria. La fuga come unica soluzione.
“Tutte le famiglie felici sono simili tra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”: Marcela Serli annulla il noto incipit tolstojano, narrando con inconsueta leggerezza la comunità degli ultimi, proletari di tutti il mondo uniti dall’indigenza e dai sogni di un futuro migliore. Consumistico, nella maggior parte dei casi, per tradire anche Marx. L’ironia sui luoghi comuni, dunque, come lucreziano miele, poi il momento della cura: con la propria vicenda autobiografica (nata in Argentina da madre libanese e padre italiano) Serli introduce il più vasto disagio dei profughi, dei popoli in cammino verso l’ignoto. Tra uno sketch e l’altro inizia così un viaggio iniziatico nella povertà: brillante affabulatrice sola su un palco privo di qualsiasi orpello, l’attrice sudamericana coinvolge il pubblico con grazia, alternando sapientemente riflessione e gioco. Senza morale e con pochi (forse necessari) patetismi.
Le risate liberatorie invadono la sala, i vizi borghesi sono messi a nudo con lucido cinismo. Me ne vado ha il merito di piantare un seme: un ramoscello d’ulivo è l’approdo di ogni arca.
Domenico Colosi