Il nostro amore schifo. Il gioco delle coppie

Il nostro amore schifo. Il gioco delle coppie

Domenico Colosi

Il nostro amore schifo. Il gioco delle coppie

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giovedì 24 Agosto 2017 - 14:50

Le stagioni della vita scandite dall’unico sentimento necessario all’uomo. Nella zona grigia tra originalità e parodia, i Maniaci d’Amore declinano in Fiera il grottesco breviario della solitudine di coppia

Vedi alla voce: amore. Due ragazzi si conoscono ad una festa di compleanno: per l’apatica Carlotta giunge in regalo un partner dalle tendenze suicide (quasi uno spin-off da Harold & Maude di Hal Ashby), impermeabile all’affetto dei genitori, poeta dilettante, cuore semplice. In rassegna le ritualità della vita di coppia, dalle grottesche presentazioni in famiglia ai tradimenti seriali fino ad un aborto appena sussurrato: una logorante vecchiaia restituisce intatte le complessità maturate nell’infanzia, poi il tragico epilogo.

Attento lavoro sul nonsense condotto con esiti alterni, Il nostro amore schifo dei Maniaci d’Amore trova nel ribaltamento degli stereotipi sentimentali la sua ragione di ricerca drammaturgica: una velata critica alla società contemporanea con due apocalittici destinati forzatamente a seguire un sentiero già battuto da altri, spasimanti annoiati di un ideale irraggiungibile. Tra i Frammenti di un discorso amoroso di Roland Barthes e il flaubertiano Bouvard e Pécuchet, il capovolgimento della routine di coppia cercato ostinatamente dalla messinese Luciana Maniaci e dal pugliese Francesco D’Amore fa il verso a certe dinamiche da guerra dei sessi care al cabaret, restando tuttavia relegato nella zona grigia che separa l’originale dalla parodia.

Nichilismo ciarliero e misoginia in pillole sono gli ingredienti di uno spettacolo che raramente risparmia al pubblico una rincuorante benevolenza di fondo – quasi paternalistica – verso vittime standard di disegni prestabiliti: la rabbia è ricondotta sovente verso più miti consigli al di là di una sporadica indignazione, autentico totem sentimentale del terzo millennio. Non basta un linguaggio giovanilistico a mutare gli scenari: battendo i territori della consuetudine può capitare di incappare nelle sabbie mobili dell’ordinario.

Domenico Colosi

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