L’arte schiacciata sotto il tallone del potere nello spettacolo di Sergio Basile proposto da QA-QuasiAnonimaProduzioni all’interno della rassegna Atto Unico
Anche Anton Cechov, celebrato autore da canone, può diventare latore di un pericoloso messaggio sovversivo. Al bando le storie borghesi nell’URSS stalinista: i valori si capovolgono a ritmo continuo, l’apparato burocratico vigila sull’integrità della lezione da propagandare al popolo; nessuna deroga, Cechov è nocivo. Dalla famosa stazione di Astapovo inizia la storia di Varvara Ozolin, poche parole di un Tolstoj morente per inaugurare la via dell’arte. Gli spostamenti a Mosca e Leningrado, poi l’incontro con Serghiej Kozinkov, un allievo dell’inventore della biomeccanica teatrale, il venerato maestro Vsevolod Mejerchol’d. Una chiamata del grande regista Ernst Lubitsch dagli USA permetterà a Varvara di riacquistare dignità e successo dopo gli stenti patiti in patria; oltre la Cortina è tempo delle Grandi purghe, un tradimento inaspettato condurrà l’amato ad un processo farsa prima della fucilazione.
Un genere illustre quello delle vite immaginarie, da Marcel Schwob a Bolaño – per non tacere di Borges – una collezione costretta a ruotare sulla verosimiglianza come unico indispensabile fulcro. Da qui la riuscita operazione dell’attore e regista napoletano Sergio Basile con il suo Sincopi deliqui infarti e altri mancamenti (Cechov fa male!), un lavoro accorto, rigoroso e documentato proposto da QA-QuasiAnonimaProduzioni all’interno della rassegna Atto Unico. Le note di Shostakovich e Vysotsky ad impreziosire una drammaturgia che non rinuncia a rievocazioni, inserti audiovisivi e flashforward: mentre il volto da sfinge di Iosif Stalin sorveglia un gioco di burattini avviato verso la distruzione, alla Sala Laudamo riecheggiano la risata della Garbo, il fumo delle Herzegovina Flor, l’epopea della fantascienza sovietica, la sconfitta di Majakovskij. Il lavoro dell’attore su se stesso, dunque, in una progressione metateatrale che vede lo stesso Basile e Claudia Natale rendere omaggio ai maestri all’interno di una struttura narrativa ordinata con grazia e gusto per l’intreccio; unico neo forse nell’eccessivo utilizzo cartoonistico delle immagini, lieve tradimento ad un testo già autosufficiente negli intenti satirici.
Sul palco semplici formiche imploranti, con l’immortale Cechov restituito come un guscio vuoto dall’opprimente censura di Stato: vaudeville innocenti conducono l’attore buffone, il giullare fedele, il saltimbanco ferito verso lo scontro con il potere, una storia universalmente nota ad ogni latitudine che invita Basile ad un omaggio gentile al Dario Fo più battuto. Il suono di una risata, eterna spia della libertà di un popolo ad est o ad ovest dell’Atlantico.
Domenico Colosi