Si muove dalla spinta emotiva che trasmettono le manifestazioni di coraggio lo spettacolo Vinni a u’ munnu, scritto diretto e interpretato da David Mastinu, andato in scena al Teatro Trifiletti, per la Stagione quiNteatro, diretta dal regista Giuseppe Pollicina e organizzata da Tali Arti di Tania Alioto in collaborazione con il Comune di Milazzo. Sul palco il cast capitanato da una spumeggiante Martina Zuccarello attorno alla quale hanno gravitato Gaspare Di Stefano, Silvia Vallerani e Martina Parisi, bravi a dare alla pièce quel tocco di suspense in più. Lo spettacolo ha ricordato l’importanza di rialzarsi sempre, qualunque cosa succeda.
“Dal momento che l’argomento è la mia terra, se devo essere sincera, non ho investito molto in studio e tecnica, ci sono andata giù d’istinto perché io non interpreto con tecnica, per cui ogni sera è diverso, ogni replica è diversa e sento il peso di dover dare un messaggio immedesimandomi in vittime generiche” ha dichiarato Martina Zuccarello parlando della complessità del suo personaggio, “Io non mi sento soltanto la moglie di una scorta, io mi sento la sorella del poliziotto piuttosto che la proprietaria di un negozio sottoposta al pizzo perennemente; sento la disperazione che fa parte della mia terra. Quindi è un’evoluzione che mi appartiene in qualche modo, per cui la mia interpretazione è molto istintiva; quando faccio l’ultimo monologo e parlo della mafia in generale e delle sue vittime io mi commuovo veramente, perché penso la disperazione di queste persone che sono andate avanti. E qui racconto di una donna che va avanti, e non è da tutti andare avanti, e a me quest’idea del coraggio mi fa commuovere: le persone coraggiose che vanno avanti nonostante tutto, nonostante gli ostacoli e le difficoltà, di qualsiasi natura essi siano, mi commuovono. La mia interpretazione è tutta di pancia; infatti, io finito lo spettacolo sono distrutta perché mi emoziono dietro la storia che conosco benissimo dato il numero imprecisato di repliche andate in scena. Questo spettacolo va avanti ormai da due anni eppure ogni volta c’è un colore diverso. E tutto di pancia, la tecnica c’è nel modo in cui mi posiziono. Questo non è uno spettacolo tecnico, è molto reale; e se io facessi una cosa tecnica mi sentirei di prendere in giro il pubblico, il quale se ne accorgerebbe. Non si sta recitando Shakespeare, qui si parla di persone che sono morte, persone che hanno sofferto e che si sono rialzate, quindi tradirei l’animo di tutte queste persone”.
L’attrice si è poi concentrata sul tema del coraggio: “Il coraggio è rialzarsi nonostante il peso e anche se le gambe ti tremano, e non mi riferisco soltanto alle situazioni tragiche. Per me il coraggio è stato quello di prendere in mano la valigia e a diciassette anni andarmene a Roma senza conoscere niente e nessuno, senza sapere che cosa aspettarmi. Questo è coraggio, io ho lasciato tutti, ho lasciato qui la mia anima, ho tagliato questo cordone ombelicale per raggiungere un qualcosa che io ancora cerco. Il coraggio è quello di alzarsi tutti i giorni e dire “questo è ancora quello che voglio fare”, perché mi continua a mancare la mia famiglia, mi continua a mancare la mia terra e proprio perché mi manca tutto questo e ho fatto questo grande passo devo conquistarmelo ogni giorno, e questo è coraggio nel mio piccolo, senza andare nelle cose tragiche. Il coraggio è anche interpretare questo ruolo perché puoi sbagliare, puoi non piacere e risultare ridicolo magari, questo non lo so; chi ha sofferto veramente queste si commuoverà, non lo so, oppure risulterò ridicola, non so neppure questo; però io ogni volta che vado in scena faccio un respiro profondo e dico “Ok hai fatto questo, sei coraggiosa”. Tutto questo nel mio piccolo, poi se prendiamo l’argomento ad ampio raggio ci sono donne che sono molto più coraggiose di me e hanno situazioni più dure e toste, ma nel mio piccolo è questo per me il coraggio.”
Martina Zuccarello ha poi parlato dell’opportunità di trasferire l’opera sul grande schermo: “Ci stiamo pensando già un po' proprio perché la struttura è molto cinematografica, sembra di vivere in un film, perché ci sono tutti quei dialoghi volutamente accavallati per rendere il quotidiano più normale possibile. La sua realizzazione è un po' tosta perché bisogna ambientarlo negli anni ’90 e non puoi sbagliare location né arredamenti, quindi c’è una bella ricerca dietro. Noi stiamo pensando di proporla ad un produttore; abbiamo già adattato la sceneggiatura teatrale in scrittura cinematografica, e quindi se il destino vorrà e se qualcuno ci aiuterà sicuramente investiremo anche in questo.”
Ha invece parlato della genesi del testo l’autore e regista David Mastinu: “E’ scaturita dal fatto che non volevo parlare direttamente di mafia, ma di com’era la vita di quelle anime che vivevano all’interno di una situazione di mafia, in quei periodi molto pericolosi e fare emergere due aspetti molto importanti: il primo era la forza della donna e il coraggio di andare avanti nonostante sia stata vittima di mafia, di portare avanti la famiglia, di lottare finché non ha trovato il mandante; in altre parole la tenacia della donna e in particolare della donna del Sud; l’altro canale che viaggia parallelo è quello d’indagare chi fosse l’intermediario che giocava contemporaneamente per lo Stato e per la mafia. Questi sono i due canali che convivono all’interno della vita di coppia dove lui fa la scorta, lei l’ostetrica e quindi all’interno della casa c’è questa tensione amplificata dal fatto che lei non accetta il lavoro del marito perché sa benissimo che si tratta di un lavoro rischiosissimo; quindi ho voluto giocare un po' sui discorsi umani all’interno di una situazione temporale della mafia, senza parlare esplicitamente né di mafiosi né di magistrati. Ho voluto romanzare un po' facendo riferimento ad alcuni nomi che sono stati vittime di mafia per far sì che venissero fuori questi due elementi dello spettacolo.”