Concerto grosso, la vertigine del barocco

Concerto grosso, la vertigine del barocco

Giovanni Francio

Concerto grosso, la vertigine del barocco

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lunedì 15 Maggio 2017 - 07:12

Il grande barocco italiano conclude la stagione musicale del Teatro Vittorio Emanuele

Con l’ultimo concerto della stagione del Teatro Vittorio Emanuele l’omonima Orchestra, diretta egregiamente dal maestro Daniele Caminiti, ha reso omaggio alla grande musica italiana del diciottesimo secolo, eseguendo musiche di tre illustri interpreti del barocco: Corelli, Geminiani e Vivaldi. Il titolo dell'esibizione – Concerto Grosso – si riferisce al genere di concerto barocco che vede protagonisti un piccolo gruppo di strumenti solisti, mentre all’orchestra è affidato il ripieno.

Tradizionalmente si deve a Stradella, altro compositore italiano, l’invenzione di questo genere musicale in quanto è suo il primo esempio conosciuto di tale concerto. Tuttavia è stato Arcangelo Corelli, con la sua unica raccolta di musica per orchestra, gli splendidi “Dodici Concerti Grossi Op. 6”, a sviluppare sistematicamente e in maniera eccelsa il concerto grosso, tanto che deve senz’altro considerarsi il capostipite di questo genere musicale. L’Orchestra del Teatro Vittorio Emanuele ha eseguito il concerto n. 4, in re minore, della celebre raccolta, nei tempi ”Adagio – Allegro”; “Adagio”; “Vivace” e “Allegro”. Si tratta, come i primi otto dell’op. 6, di un concerto destinato ad essere eseguito in chiesa (mentre gli ultimi quattro sono concerti da camera, dal carattere più leggero) tuttavia presenta un carattere notevolmente brillante, di difficile esecuzione, che ha pertanto esaltato la buona performance dell’orchestra, diretta da un eccellente Caminiti, con ottimo piglio, dalla gestualità accentuata ma sempre composta. Se Corelli è il capostipite del Concerto grosso, a Francesco Geminiani si deve soprattutto il merito di aver diffuso il genere musicale, appreso dal suo grande maestro, fuori dall’Italia, in particolare in Inghilterra. Il brillante discepolo di Corelli, oltre a numerosi propri concerti, ha trascritto per orchestra, sotto forma di concerto grosso, le dodici Sonata per violino e basso continuo del suo illustre maestro. Nella serata, come ultimo brano, abbiamo ascoltato la più famosa, la n. 12 “Follia”. La Follia è un antico canto portoghese, dal tema solenne cadenzato, in minore, che ha ispirato molti compositori, fra i quali Vivaldi, Handel e appunto Corelli. La splendida versione orchestrale della sonata di Corelli, ove il celeberrimo tema viene variato in tutte le sue sfaccettature, con il primo violino grande protagonista in alcune variazioni, è stata eseguita con la giusta incisività, precisione, ed ha concluso in modo coinvolgente il concerto. Tutta la prima parte della serata, e l’inizio della seconda, è stata dedicata a Antonio Vivaldi, il compositore italiano che ha portato alle massime vette il concerto grosso in Europa, insieme a Bach ed Handel. Il grande musicista veneziano ha composto più di cinquecento concerti, una mole enorme, per cui è inevitabile che molti di essi non costituiscano opere di grande spessore, ma di buon artigianato musicale. Stravinsky, che evidentemente non amava il musicista italiano, ebbe a dire che Vivaldi ha scritto cinquecento volte lo stesso concerto; è ovviamente un’esagerazione, ma anche un critico equilibrato come Pestelli ha scritto che si farebbe un’opera meritoria se si individuasse una trentina fra i migliori concerti di Vivaldi (io ci ho provato ma ne salvo una cinquantina). In ogni caso i migliori concerti di Vivaldi costituiscono senz’altro grandissimi capolavori della musica barocca, e fra questi rientrano senz’altro i dodici concerti dell’Op. 3 – “L’Estro Armonico” dei quali abbiamo ascoltato il n. 8 in re minore RV 522 per due violini e archi, nei tempi ”Allegro”; “Larghetto” e “Allegro”. È uno dei concerti più celebri ed eseguiti del Prete Rosso, bellissimo il primo movimento, trascinante, tipicamente vivaldiano, al quale fa da contrasto il misterioso “Larghetto” la cui esecuzione è stata forse un po’ affrettata, per poi concludere con l’incisivo finale. Un altro concerto da annoverare senza ombra di dubbio fra i migliori di Vivaldi è quello per due violoncelli ed archi in sol minore RV 531, che ha concluso la prima parte dello spettacolo. I due movimenti estremi, entrambi “Allegro”, permettono ai violoncellisti di far sfoggio di bravura, e hanno un carattere impetuoso, quasi demoniaco, davvero trascinante; incastonato fra i due tempi veloci, un ”Largo” che è fra le pagine più profonde e meditative di Vivaldi. Bravissimi – e molto applauditi – i due violoncellisti. Tralasciando gli altri pur gradevoli brani vivaldiani eseguiti: la Sinfonia in do minore RV 11° e il concerto per archi in sol minore RV157, altro piatto forte è stato il concerto per Liuto, archi e basso continuo in Re minore, RV 93, che ha aperto la seconda parte della serata. Il concerto, che ovviamente non è un concerto grosso, per la presenza di uno strumento solista, è stato interpretato da Daniele Caminiti all’arciliuto, un antico strumento barocco, un liuto in cui è aumentata l'estensione delle corde, ed è stata un’occasione per ascoltare dal vivo uno strumento antico così affascinante, ormai di raro utilizzo, oggi spesso sostituito dalla chitarra anche nell’esecuzione di musica barocca. Il concerto è anch’esso da annoverare fra i migliori di Vivaldi per via del secondo movimento, un dolcissimo “Largo” dal carattere sognante ed introspettivo.

Tirando le somme, più che soddisfacente conclusione di una stagione musicale che è stata tutt’altro che memorabile, ma che ha visto alcuni momenti degni di nota, e ricordiamo, oltre il presente concerto, la serata mozartiana con il bravissimo Alberto Ferro al pianoforte. Il nuovo direttore artistico musicale del Teatro, Matteo Pappalardo, salito sul palco all’inizio del concerto per porgere i saluti, ha cominciato nel migliore dei modi, annunciando agli spettatori uno splendido regalo, l’esibizione, il primo giugno, al Vittorio Emanuele, del grandissimo pianista russo Vladimir Ashkenazy, in un concerto a quattro mani insieme al figlio. Un appuntamento ovviamente imperdibile.

Giovanni Franciò

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