Delirio bizzarro. La distanza dal Castello

Delirio bizzarro. La distanza dal Castello

Domenico Colosi

Delirio bizzarro. La distanza dal Castello

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sabato 04 Febbraio 2017 - 14:30

Tra echi kafkiani e derive mélo, la paradossale riflessione della compagnia Carullo-Minasi sulle invisibili costrizioni del quotidiano

“Anche la follia merita i suoi applausi”, scriveva Alda Merini: abolita ogni apartheid tra savi e alienati – almeno in linea di principio e a rigor di legge -, le cronache da un centro di salute mentale si arricchiscono di iniziative, manifestazioni, collaborazioni, progetti artistici e laboratori. Sofia e Mimmo sono relegati in un kafkiano Castello, zona grigia tra tormenti burocratici e fantasticherie. Un dio buono e invisibile, il dott. Allone, dirige e prende nota senza manifestarsi: nell’attesa del Messia, il dialogo diventa cura, le differenze sfumano in una poetica interpretazione della realtà. Singolare, mai individuale.

In riva allo Stretto forse il più alto compimento per Delirio bizzarro, dramma in cui la compagnia messinese Carullo-Minasi fa convergere la consueta accuratezza nella ricerca espressiva con un’interessante indagine sulle sperimentazioni post-Basaglia che animano da anni il Centro Diurno di Salute Mentale Camelot, partner del progetto al pari della Casa del Con, del Teatro Vittorio Emanuele e della Corte Ospitale. Nella tragica e paradossale parabola di Mimmo e Sofia, Giuseppe Carullo e Cristiana Minasi traducono traumi e visioni in una studiata commistione tra alto e basso, lirismo e primitiva concretezza: sotto i riflettori l’uomo vessato dalle pedanterie amministrative, sottomesso al giudizio del pubblico, debole di fronte ad aspettative altrui. Un discorso politico fa dunque da sottofondo a una vicenda che, forte dei presupposti di base, non teme patetismi o derive mélo, dalle donchisciottesche recite di Mimmo alle logorroiche digressioni di Sofia, virtuose banalità che riflettono una società chiusa in vani solipsismi: accettato un elogio della follia nelle sue linee generali, l’attenzione vira verso una schizofrenia indotta dalle circostanze esterne, condizione forse necessaria nell’opera di contrasto alla correttezza formale, al buon gusto borghese, al successo effimero.

Applaudito e premiato in ogni angolo dello Stivale, il sodalizio artistico tra Giuseppe Carullo e Cristiana Minasi aggiunge con Delirio bizzarro un nuovo tassello alla riflessione sullo spaesamento che pervade la civiltà contemporanea. Solo apparente, in questo caso, il sacrificio della componente maschile del duo per un equilibrio pronto costantemente a reinventarsi, come suggerisce la struttura al centro della scena, schermo ideale per la proiezione di un nuovo altrove: il cielo stellato guardiano della legge morale.

Domenico Colosi

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