"Dots, lines and the cube". Il teatro giapponese approda a Messina

“Dots, lines and the cube”. Il teatro giapponese approda a Messina

Lavinia Consolato

“Dots, lines and the cube”. Il teatro giapponese approda a Messina

mercoledì 05 Novembre 2014 - 10:20

La compagnia giapponese Mum&Gypsy offre all'occhio e alle orecchie occidentali l'avanguardia stilistica della "zero generation". Assolutamente imperdibile.

Punti, linee e il cubo che si forma. I molti mondi diversi dentro. E la luce.” Questo, che sembra tratto dagli “Elementi” di Euclide, è l’incipit, l’essenza, il mantra potremmo dire, dello spettacolo, che ha in Satoko la principale voce narrante.

Ognuno di noi è un punto, i luoghi che frequentiamo sono punti, noi li uniamo in linee che formano la nostra strada. Le linee formano cubi, che possono essere tanto una scuola, un posto dove andiamo abitualmente e stiamo insieme ad altre persone, quanto il mondo stesso. La luce è davanti al punto del presente. Ogni tanto, quando si sta per dimenticare i punti lontani nel tempo, è necessario ricordare e ricostruire la memoria.

Così fa un gruppo di ragazzi, nel 2011, che vuol ricostruire la memoria del 2001, in particolare la primavera, “la stagione delle partenze e degli addii”, in cui il ritrovamento di una bambina assassinata turba le loro vite, e l’autunno, l’11 settembre. Come tema centrale, c’è la storia di Aya, che scappa di casa per andare a vivere nel bosco in una tenda. Ognuno di loro racconta il proprio punto di vista, così che vi sia un ripetersi delle scene, ma sotto diverse angolazioni, proprio come un cambio di inquadratura.

La “zero generation”, di cui fa parte il giovanissimo regista e sceneggiatore Takahiro Fujita, è un’avanguardia teatrale nata negli anni 2000. L’avanguardia è costituita dalla distruzione del teatro tradizionale inserendo innovazioni, come il linguaggio quotidiano, la possibilità di dare le spalle al pubblico, la creazione di nuovi spazi scenici.

Fujita si sente però appartenente alla “ten generation” avendo cominciato verso il 2010, perché ha fatto un passo in più: ha aggiunto la ripetizione delle scene. Dopo lo spettacolo è stato possibile porgli delle domande.

Perché questa storia?

Volevo scrivere qualcosa che parlasse della mia città natale – ancora non abitavo a Tokyo – e metterlo in scena. Nel 2001, io avevo 15 anni e vivevo ancora nella mia piccola città, ed ho vissuto lì l'11 settembre.

Il modo in cui gli attori recitano è diverso per noi, che non comprendiamo la lingua? E il pubblico stesso è diverso?

Sì, certamente. Perché in Giappone il pubblico comprende il senso delle parole, mentre qui recepisce non tanto una lingua, quanto una musica. Questo aspetto, la percezione della lingua come suono, è molto interessante per me.

Chi sono i tuoi modelli nel cinema, giapponese e internazionale?

Per questo spettacolo mi sono ispirato a Wes Anderson. Non mi è facile nominare registi giapponesi… Ma c'è il regista Shinji Aoyama, che mi interessa, perché nei suoi film tratta la vita nelle piccole città, la vita quotidiana.

Hai "ucciso" il teatro tradizionale giapponese? Mi riferisco per esempio alla danza buto, al teatro kabuki e altri stili; ti piacciono o li rifiuti?

Essendo così diversi questi stili, l'uno con l'altro, è molto difficile fare collegamenti. Ma c'è qualcosa che posso imparare e sviluppare da loro, guardo le rappresentazioni kabuki per esempio. Ciò che io faccio è nuovo, preferisco ignorare il passato, lo considero come ciò che mi ha permesso di arrivare al presente.

Faccio questa domanda perché chi fa teatro d'avanguardia in Italia, molto spesso ritiene che il teatro classico sia impossibile da rappresentare ancora, ma che si possa soltanto leggere. Io non sono di quest'avviso. In Giappone, il governo investe nel teatro e nella cultura in generale?

Sì, ma non come dovrebbe. In passato era più complesso, mentre in questo momento è più facile avere supporto. Il governo preferisce investire nella tecnologia, nell'industria. Così se non c'è un coinvolgimento mediatico, è difficile avere supporto, perché non si è conosciuti. Ma se si ha talento, e si viene riconosciuti talentuosi, si viene aiutati.

Il fatto poi che voi siate una compagnia giovane (hanno tutti 28-29 anni) rende più difficile avere aiuto?

Dipende, i problemi ci sono sempre. Ma se appunto c'è talento, c'è il supporto. Io in questo momento sono supportato dal governo, perché il mio talento è stato riconosciuto.

La meritocrazia esiste in Giappone, voglio andarci! Grazie.

Grazie a te.

Lavinia Consolato

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