Filumena Marturano. Un paese lacerato

Filumena Marturano. Un paese lacerato

Tosi Siragusa

Filumena Marturano. Un paese lacerato

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lunedì 11 Dicembre 2017 - 10:07

Tracce di imprevedibile passionalità partenopea nel dramma di Eduardo De Filippo interpretato da Mariangela D'Abbraccio e Geppy Gleijses

Mariangela D’Abbraccio è stata una splendida Filumena, rispecchiandone a pieno titolo i caratteri, con quelle note di caparbietà, ruvidità, asprezze, ribellioni e risentimento e grande dignità, con l’unico neo forse di un certo eccesso interpretativo, per quel registro sempre troppo alto.

Eduardo De Filippo ha intessuto il suo famoso dramma farsesco, dedicato alla sorella Titina, partendo da un fatto di cronaca del nostro paese in quel secondo dopoguerra, lacerato, ma con grande volontà e speranza di riscatto, delle quali la popolana è divenuta riuscita metafora. Non potrebbero esser più agli antipodi i due protagonisti: Domenico Soriano – un ottimo Geppy Gleijses, allievo prediletto di De Filippo – un borghese con molti averi, cavalli e donne, un po’ fiaccato dall’aver superato la cinquantina (oggi parrebbe assurdo rappresentarlo così, ma si parla di un settantennio fa) e Filumena Marturano, che ha sofferto molto, combattendo l’estrema miseria, anche morale – che l’ha condotta a prostituirsi – coppia mal assortita ma che, per un quarto di secolo, va avanti, pur sbilanciata come è sui sacrifici di lei e sulla sua accettazione di un ruolo subalterno, condito di continui tradimenti, che la sua ostinazione le fa quasi bypassare. Tutto questo perdurerà fino all’ ennesima mala parte di lui, che porta in casa una ventenne che vorrebbe sposare, e Filumena escogiterà il piano di fingersi morente per riuscire ”in articulo mortis” a farsi impalmare e tenerlo in pugno. E così accade, si intuisce con il supporto di figure amicali (fra cui anche il parroco celebrante) e Filumena, ottenuto il suo scopo, potrà gettare le carte in tavola rivelando altresì di essere madre di tre figli. I due contendenti si affrontano con tutta una serie di colpi bassi, non risparmiandosi accuse e per Domenico appare evidente che quella donna, che pure, come ella stessa ribadisce, ha dato un contributo sostanziale alla sua prosperità, reggendo quella casa al pari di una serva, è “donna da niente”. Il segreto disvelato di Filumena si arricchisce con rabbia dei particolari più odiosi: proprio rubando gli averi del suo amante è riuscita a mandare a balia prima, e a dare un futuro poi, ai tre ragazzi, che divenuti ormai giovani uomini, non la riconoscono come madre. Seguirà la confessione beffarda che uno dei tre “è figlio a Domenico” e ciò creerà dilemmi interiori nel malcapitato padre, che vorrebbe con ogni mezzo cogliere il segreto. Filumena però non parla, il matrimonio viene annullato essendo stato carpito con l’inganno ed ella andrà via, non sopportando più di essere destinataria di tanto disprezzo, abbandonando quella che reputava esser casa sua. E quest’eroina edoardiana, la più celebre probabilmente, una sorta di “madre coraggio”, una guerriera, sarà al fine ricompensata dal destino, che le riserverà la riconciliazione amorosa e nuove nozze con Domenico, questa volta per davvero, alla presenza dei figli, che ora sanno bene quanto occorso e riconoscono Domenico come padre… e questo egli diviene veramente, per tutti e tre, accettandoli senza riserve, senza distinzioni e potenziali preferenze, che deriverebbero da una conclamata paternità nei confronti di uno di essi. E Filumena, finalmente pacificata, con Domenico che si è fatto al fine conquistare dalle sue qualità umane, potrà porre fine alle sue sfide estenuanti e abbandonarsi ad un pianto liberatorio che finalmente potrà concedersi.

Filumena Marturano incanta sempre, potendosi a ragione annoverare fra le rappresentazioni più messe in scena e amate in Italia e all’estero, essendo anche un’opera con intenti formativi, che pone l’accento sulla tematica scottante, negli anni '40, dei diritti dei figli illegittimi, poi affrontata finalmente nel 1947 ,con l’inserimento del riconoscimento egualitario nella Carta Costituzionale nell’anno successivo. Lo spettacolo segna il riuscito debutto alla regia teatrale della grande Liliana Cavani, che anche in quest’ambito dà buona prova, forse volutamente sobria, essenziale, non aggiungendo nulla di personale. Nunzia Schiano e Mimmo Mignemi sono stati ottimi comprimari, alias Rosalia Solimene, una popolana che da sempre aiuta Filumena, e Alfredo Amoroso, a servizio in casa di Domenico, “che riassume tutto il passato del suo padrone”. Gli altri interpreti, da Ylenia Oliviero, alias Diana, a Elisabetta Mirra, Lucia, Agostino Pannone, lo studente Umberto, Gregorio De Paola, nei panni di Riccardo, il commerciante, Adriano Falivene, nella parte di Michele, l’operaio, e infine Fabio Pappacena, in quelli dell’avvocato Nocella, hanno ciascuno reso un egregio contributo alla riuscita della piece. Le scene ben allestite, che rimandano ad interni borghesi ben costruiti, senza troppo lusso, sono di Raimonda Gaetani, le musiche originali di Teho Teardo non sovrastano mai – giustamente – sottolineando i passaggi salienti; infine il calibrato uso dell’illuminazione scenica è riferibile a Luigi Ascione.

Tosi Siragusa

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