Carmen. Amore e morte

Carmen. Amore e morte

Giovanni Francio

Carmen. Amore e morte

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domenica 11 Febbraio 2018 - 08:00

Una convincente rappresentazione segna il ritorno dell’opera a Messina

Con Carmen, venerdì è finalmente tornata l’opera lirica al Teatro Vittorio Emanuele di Messina. Opera in quattro atti di Georges Bizet, su libretto, liberamente tratto dall’omonimo romanzo di P. Mèrimèe, di H. Meilhac e L. Halèvy, alla stesura del quale contribuì fattivamente lo stesso Bizet, autore tra l’altro delle parole della celeberrima Habanera, fu eseguita per la prima volta a Parigi nel 1875, tre mesi prima della morte del compositore, e fu un insuccesso, per cui Bizet non riuscì ad assistere all’enorme successo che ottenne in seguito il suo capolavoro, divenuto una delle opere più popolari ed amate della storia del melodramma.

L’opera, come è noto, narra dell’amore folle del militare Don Josè per Carmen, sensuale, aggressiva ed ammaliante sigaraia, che egli aiuta a fuggire in seguito al suo arresto per una rissa; Don Josè, travolto dalla passione, non si cura più della sua Micaela, ma Carmen, che inizialmente ricambia il suo amore, presto verrà conquistata dall’affascinante torero Escamillo. Tale amore però le costerà la vita, uccisa per mano di Don Josè, nel tragico epilogo che vede inscindibili amore e morte. Numerosi musicisti francesi del tardo ottocento furono ispirati dalla musica e dal folclore spagnoli nelle loro composizioni (basti citare “Espana” di E. Chabrer, “Iberia” di C. Debussy, e soprattutto il “Bolero” di M. Ravel), ma in Carmen lo spagnolismo esercita una funzione drammatica che impernia e caratterizza tutta l’opera, a tal punto che ogni aria, ogni frase musicale, ci parla della Spagna, e solo la lingua adoperata (il francese) ci ricorda che l’autore non è spagnolo. L’opera rappresenta la quintessenza dell’amore passionale, sensuale, assoluto e senza compromessi, che viene incarnato nel personaggio di Carmen, donna istintiva, incline alla passione, che segue sempre e comunque l’amore, sempre però fedele a se stessa, fino alla morte. L’assolutezza e la totale coerenza col suo essere libero e sprezzante di ogni regola e vincoli rende unico il personaggio Carmen, che può essere accostato, nell’ambito dell’opera, forse solo al Don Giovanni di Mozart, altra opera ambientata a Siviglia, sebbene il mondo poetico e musicale di Bizet sia assai distante da quello del musicista austriaco: Carmen impronta la sua esistenza sulla consacrazione dell’amore, Don Giovanni sulla sua continua profanazione, e la rinuncia ad ogni compromesso condurrà entrambi ad una tragica morte. L’allestimento, a cura della Fondazione Teatro Coccia di Novara, ha presentato scene (Luca Gobbi) dai toni abbastanza cupi – due scale nere immanenti nei quattro cambi di scena, coreografie e costumi (Deborah Brancato) dai toni scuri, ad eccezione della sfavillante scena della corrida di Siviglia nel quarto atto. Unica trovata scenica che spezza questa atmosfera lugubre il delizioso ingresso dei bambini scalzi che imitano la marcia dei soldati. La regia di Renato Bonajuto ha optato per la versione “classica” originaria, con recitativi parlati senza accompagnamento dell’orchestra, a differenza di molte edizioni che adottano il recitativo strumentale (alla Puccini per intendersi), scritto successivamente dal compositore E. Guiraud. L’impressione generale è stata di una certa staticità della scena, estesa anche ai balletti spagnoleggianti disseminati nel corso dell’opera, ventagli rossi e drappi ovviamente protagonisti, ma scene nel complesso poco “movimentate”. Luci e qualche ombra per quanto riguarda le prestazioni dei cantanti: sempre diligente e preciso il Coro Lirico “Francesco Cilea” diretto da Bruno Tirotta, bella realtà nel panorama musicale locale; da sottolineare l’ottima prestazione del Coro di Voci Bianche “Bianco Suono” diretto da Agnese Carrubba. Il tenore dell’Azerbaigian Azer Zada è stato un Don Josè più triste che appassionato, dotato comunque di una bella voce e la sua prestazione, andata migliorando nel corso della rappresentazione, è risultata più che convincente, toccando i giusti accenti nel tragico epilogo finale.

Stesso discorso per Chiara Mogini, una corretta Micaela, personaggio gentile e mite, perfetto contraltare all’irrequietezza e sfrontatezza di Carmen, che ha dato il meglio di sé nella seconda parte del dramma (la bellissima e ben interpretata aria “Je dis que rien ne m’epouvante”, molto applaudita infatti). Non è sembrato in forma invece il baritono Lisandro Guinis, un Escamillo troppo leggero, soprattutto nelle note basse, sovrastato sovente dall’orchestra nella celeberrima “Votre toast, je peux vous le rendre” (l’aria del toreador) una delle arie, accompagnata dal coro, più memorabili della storia del melodramma di tutti i tempi, vero leitmotiv dell’opera. Bene i comprimari Morales (Lorenzo Grante), Zuniga (Gianluca Lentini), Dancaire (Paolo Maria Orecchia), Remendabo (Didier Pieri) e soprattutto Mercedes (Irene Molinari) e Frasquita (Leonora Tess), davvero molto brave. Infine, Carmen, la protagonista assoluta del melodramma, interpretata da Anna Maria Chiuri, eccellente mezzo-soprano che ha saputo entrare nella parte conferendo al personaggio, oltre la giusta dose di sensualità e spregiudicatezza, anche un certo tono scanzonato, sempre di sfida. Molto carica di erotismo la sua Habanera, ma soprattutto interpretata con una voce nitida e senza incertezze.

Finalmente abbiamo rivisto l’Orchestra del Teatro Vittorio Emanuele, che, a parte qualche sbavatura iniziale, è riuscita a seguire la direzione brillante ed esuberante dell’applauditissimo Carlo Palleschi, direttore d’orchestra dal gesto plateale, ricco di personalità – ma capace anche di esaltare i momenti più intensamente lirici dell’opera, come lo splendido “Entr’acte” che apre il terzo atto – che ha ricevuto un’ovazione da parte del gremito pubblico del Teatro di Messina.

Giovanni Franciò

3 commenti

  1. Non solo voci.
    L’opera non e’ solo le voci. E’ teatro, dramma, musica. Purtroppo in questa Carmen mancava tutto cio’. La regià era di fatto inesistente, movimenti delle masse, dei personaggi, i dialoghi parlati ridotti al minimo indispensabile. Non vi era alcuna idea o filo conduttore che guidasse l’intera rappresentazione. Anche i costumi forse dettati da una politica low cost, non avevano un comune denominatore e la pochezza delle scene, comune in tutti i teatri ormai, doveva essere colmata con le luci, che invero, statiche e poco curate. Mancava, di fatto, un’idea registica. Sembrava una rappresentazione fatta perche’ si doveva fare ma senza nulla dietro. La parte musicale non era divera. Mancava una lettura organica dell’opera

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  2. 2/3 La parte musicale non era diversa. Mancava una lettura organica della partitura. L’impressione era di una prima lettura, di note buttate quasi tutte sul mezzo forte, e non di una interpretazione studiata ed approfondita. Sembrava che fossero stare effettuate pochissime prove. L’orchestra, al di la’ degli apprezzabili soli delle prime parti nel settore dei legni, aveva a volte seri problemi di intonazione nelle file degli archi in particolar modo e nell’insieme tra le parti, mancava di amalgama. L’orchestra copriva i cantanti, vuoi perche’ non dotati di voci potenti -Carmen non venivea coperta – vuoi perché tutto sempre suonato sul mezzo forte.

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  3. 3/3 il coro composto da pochi elementi rispetto a quelli che la Carmen richiede aveva anche problemi di intonazione – in particolare il coro maschile nel primo atto – e non ha sicuramente brillato come invece normalmente il coro del cilea fa.
    Apprezzabile il coro delle voci bianche – al di la’ della normale simpatia ed allegria dei cori di bambini – i quali sembravano gli unici entusiasti di stare sul palco e gli unici che avevano studiato e maturato bene la parte.
    Le voci erano apprezzabili. Brava la Chiuri nel ruolo di Carmen, il tenore voce ancora acerba ma comunque piacevole.
    Carmen e’ un’opera ambiziosa, che necessita di masse e di un impegno e prove non comuni. Forse il Teatro ha azzardato troppo.

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