L’Orchestra del Teatro Vittorio Emanuele ha eseguito composizioni di Philip Glass, David Lang, Michael Nyman e Arvo Part. Ottima la direzione del maestro Alessandro Calcagnile
Il concerto del 24 febbaraio presso il Teatro Vittorio Emanuele, dinanzi ad un pubblico purtroppo assai esiguo (una platea semivuota), ha avuto per protagonista il minimalismo, termine usato per descrivere la musica di un gruppo di compositori della fine del XX secolo, i quali per reazione alla musica dodecafonica e seriale della Scuola di Vienna (Schoenberg, Berg, Webern), perseguono un ritorno alla melodia, alla tonalità. Tale intento è raggiunto attraverso l’utilizzo di brevi cellule musicali, sulle quali sviluppare l’intero brano, o per sovrapposizione o per variazione e modulazione dello stesso tema. Il risultato è una musica molto più accessibile all’ascolto, rispetto alla complicata e dissonante dodecafonia, inascoltabile per orecchie non particolarmente educate e avvezze, ma anche molto più semplice, ripetitiva fino all’ossessione, che a volte rischia di risultare un pò noiosa, sicuramente più adatta ad accompagnare immagini visive (quasi tutti i minimalisti sono formidabili compositori di colonne sonore per film), in ogno caso infinitamente più semplice e meno “colta” rispetto alla musica che ha caratterixzzato la prima metà del novecento.
Arvo Part, musicista estone contemporaneo, si differenzia da questo gruppo di compositori, in quanto inizialmente ha abbracciato la musica atonale dodecafonica, ma in seguito se ne è discostato, componendo brani minimalisti, spesso vocali, ispirati all’ortodossia, tanto che per la musica si parla di minimalismo sacro o religioso. Il suo brano eseguito, “Wenn Bach Bienen gezüchtet hätte”, significa letteralmente “Se Bach avesse allevato le api”, brano pertanto con intento ironico, nel quale si può ascoltare il ronzio delle api tramite il tremolo degli archi, e un insistente e ossessivo martellamento ottenuto con uso particolare delle percussioni, sempre uguale, quasi a voler rendere, attraverso il lavorio di un arnese, il battito del metronomo, che scandisce il tempo ritmato deli capolavori di Bach. La composizione risulta di semplice e gradevole ascolto, nello stile proprio di Part. “Where the Bee Dances” di Michael Nyman, musicista inglese autore di indimenticabili colonne sonore (ricordiamo per tutte la splendida musica per il film “The piano” tradotto in italiano “Lezioni di piano”) è una composizione, piuttosto prolissa, che vede il sax soprano protagonista; è una composizione sostanzialmente monotematica, tipica dello stile minimalista, con varianti e modulazioni sviluppate da una cellula melodica, ed esplicitate attraverso un ritmo incalzante e quasi ossessivo. Il brano è stato molto applaudito dallo sparuto pubblico del Teatro, anche per la straordinaria bravura del solista, il sassofonista Gaetano Di Bacco, abilità che verrà confermata nell’ultimo brano di Philip Glass e soprattutto nel bis, insieme agli altri solisti sassofonisti. Anche il successivo brano – “Wed” – del musicista statunitense David Lang, prima esecuzione assoluta in Italia, si sviluppa da un’unica cellula monotematica, ma, a differenza del precedente, è un brano lento e assai più breve, eseguito solo dagli archi. Il musicista è particolarmente noto al pubblico italiano per aver composto il brano “I lie”, colonna sonora del premio Oscar “La grande bellezza”, e le musiche del film “Youth” (La giovinezza) entrambi di Paolo Sorrentino. Infine il “Concerto for Saxophone Quartet and Orchestra” di Philip Glass, in quattro movimenti: il primo allegro, nello stile inconfondibile del compositore americano, considerato un po’ il padre del minimalismo in musica, un tema accompagnato dagli accordi cadenzati e ritmati degli archi, ma dove l’accompagnamento si fa esso stesso tema, trascinante e coinvolgente, molto adatto ad essere eseguito per accompagnare scene visive (anche Philip Glass è uno straordinario compositore di colonne sonore, bellissima quella del film “The Hours”);il secondo una sorta di scherzo in stile jazzistico; il terzo un andante melodico, con un tema ripetuto quasi ossessivamente; infine un finale molto vivace, anch’esso con influssi derivati dal jazz. Il concerto ha dato modo di al quartetto di solisti sassofoni (Gaetano Di Bacco sax soprano, Enzo Filippetti sax contralto, Giuseppe Berardini sax tenore, Fabrizio Paoletti sax baritono) di sfoggiare la loro notevole bravura.
L’esecuzione dell’orchestra del Teatro Vittorio Emanuele è stata apprezzabilissima, diretta mirabilmente da Alessandro Calcagnile, in particolare è apparsa di ottimo livello l’esecuzione del brano di Nyman, con quell’accompagnamento trascinante degli archi, interpretato egregiamente. Il direttore ha anche spiegato al pubblico, in maniera chiara e sintetica, molto opportunamente, il concetto di minimalismo in musica, rendendo ancora più interessante la serata. In seguito ai calorosi e meritatissimi applausi del pubblico, il quartetto di sassofonisti ha eseguito come bis, un brano tratto dall’“Arte della Fuga” – sommo capolavoro di Johann Sebastian Bach – il nono contrappunto, composizione straordinaria nella quale i solisti suonano il tema fugato in contrappunto, in una splendida e inedita versione per quattro sassofoni. Bach ha composto il suo ultimo, astratto e matematico capolavoro strumentale senza indicare per quale strumento o gruppo di strumenti dovesse essere eseguito, sicchè è possibile eseguire il brano sia da solista su tastiera (per lo più clavicembalo) sia da qualsiasi gruppo strumentale (in genere orchestra da camera). L’esecuzione è stata straordinaria, ed ha toccato probabilmente il momento più alto dello spettacolo, che sicuramente meritava un pubblico ben più numeroso, in questo caso gli assenti hanno avuto sicuramente torto.
Giovanni Franciò