Daniele Di Bonaventura: suggestioni mediterranee per un jazz in mutazione

Daniele Di Bonaventura: suggestioni mediterranee per un jazz in mutazione

Giovanni Francio

Daniele Di Bonaventura: suggestioni mediterranee per un jazz in mutazione

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giovedì 12 Maggio 2016 - 22:05

Il bandoneon di Di Bonaventura grande protagonista al Teatro Vittorio Emanuele: musiche dai richiami barocchi con la struggente malinconia del minimalismo

Il compositore Daniele Di Bonaventura si è esibito con il suo bandoneon, insieme all’Orchestra del Teatro Vittorio Emanuele, che ha diretto, eseguendo La “Suite per Bandoneon ed Orchestra”. Si tratta di una composizione dello stesso Di Bonaventura, che l’autore stesso ha provveduto ad illustrare, dopo il terzo movimento, dal momento che non è stato distribuito al pubblico alcun programma di sala, neanche il foglio che di solito accompagna i concerti del mercoledì (si ribadisce la scelta poco felice del giorno infrasettimanale).

La Suite, come l’autore stesso ha spiegato, costituisce una sorta di sintesi dell’opera di Di Bonaventura una raccolta di dodici brani – suddivisi in cinque movimenti – ispirati a varie persone o circostanze della vita (la figlia che ama il mare, il canto, il suo amico Frank fisarmonicista), in genere temi di ispirazione mediterranea, in continua mutazione. I movimenti si caratterizzano quasi tutti per una introduzione lenta, di carattere nostalgico e malinconico, eseguita ora dal solo bandoneon, ora dalla sola orchestra, di evidente derivazione dalla musica classica – in particolare barocca – alla quale segue un tempo più movimentato, ritmico, che fonde spunti jazzistici ad altri tipici delle correnti minimaliste, come il ripetersi in maniera ossessiva di un tema o i ritmi di crescendo incalzante. Non mancano anche spunti vagamente orientaleggianti, altri tipicamente folk, ma in tutti i casi prevale sempre l’elemento melodico. I brani che compongono la Suite (anche il titolo richiama manifestamente la musica barocca), di presa immediata ed apprezzati dal pubblico (incredibilmente un po’ più numeroso del solito), sono di struttura musicale abbastanza semplice, orecchiabili, tuttavia gradevoli e non banali. Il dialogo fra il bandoneon e l’orchestra è risultato particolarmente efficace, con il solista che a volte si è mescolato con l’orchestra, diventandone parte integrante, altre si è contrapposto ad essa, in divagazioni che hanno assunto la forma di vere e proprie improvvisazioni. L’Orchestra del Teatro Vittorio Emanuele ha confermato la sua versatilità (quest’anno ha eseguito veramente di tutto!), e ha fornito una prova del tutto apprezzabile, anche se non era certo chiamata ad una prova difficile. Straordinario invece Daniele Di Bonaventura in qualità di esecutore. Il suo bandoneon, risalente agli anni ’30, è sembrato a volte la naturale prosecuzione delle sue mani, tanta è la dimestichezza e naturalezza di Di Bonaventura alle prese con il particolare strumento.

A proposito del bandoneon, lo stesso autore ha voluto illustrarne la storia, precisando che, a differenza di quanto si possa credere, non fu inventato in Argentina, bensì in Germania, ed aveva la funzione di eseguire la musica sacra in occasione delle celebrazioni religiose, nelle chiese prive di mezzi che non potevano permettersi l’harmonium. Tuttavia è innegabile che ormai questo strumento viene associato nel comune sentire al tango argentino, per cui anche il compositore si è cimentato nella composizione di un tango, che ha eseguito come bis, non prima di aver ringraziato il direttore artistico Giovanni Renzo per la notevole e coraggiosa stagione artistica che ha imbastito, e gli orchestrali, che ha molto apprezzato.

Giovanni Franciò

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