Lasciare il lavoro e cambiare vita è possibile. Intervista a Simone Perotti, autore di -Adesso Basta-
Dopo aver fatto il manager per diciannove anni, Simone Perotti ha lasciato tutto e oggi si dedica a navigare, a scrivere e a qualche lavoro occasionale. Una scelta di vita che non può lasciare indifferenti e difatti il suo libro –Adesso Basta– (Chiarelettere editore; pp.190; €14) è giunto alla terza edizione in un mese, vendendo oltre 15 mila copie. Ma il tratto più interessante sono le migliaia di messaggi che ogni giorno giungono all’autore. Sta nascendo un movimento sotto i nostri occhi di persone che vogliono cambiare vita, abbandonando vincoli e gerarchie. Cominciando ad aspirare alla libertà, non grazie al superenalotto ma credendo in se stessi. Semplicemente.
Tutto comincia un fatidico 4 luglio, forse prima.
«Ricordo benissimo quel giorno di tanti anni fa. Imbottigliato nel traffico, mi vidi dall’alto e pensai “così non va, non si può vivere così”.
Una voglia di cambiare che non deriva da necessità economiche: Lei aveva una carriera manageriale ben avviata.
«Non ero ancora così affermato, con poco più di trent’anni stavo facendo la mia carriera. Ero molto impegnato e coinvolto però mi vidi in gabbia».
Cosa scattò?
«Da quel momento non c’è stato un giorno della mia vita in cui non ho riprovato il desiderio di cambiare, di uscire dall’ingorgo di acciaio, vincoli e chiusure. Quel giorno per metafora del traffico non mi sono sentito “libero” e giorno dopo giorno ho fatto un piccolo passo verso la liberazione».
Cosa accade durante ogni giorno durante l’happy hour o, come la definisce lei, “l’ora d’aria”?
«Adoro il momento dell’aperitivo, chiacchiere ed ebbrezza. Però ho notato che se durante il giorno nessuno sogna, in quel momento tutti si lasciano andare a sogni e speranze come se prima o dopo non potessero farlo, come se non riuscissero davvero ad immaginarsi liberi».
Quando racconta la sua storia personale che sentimenti riscontra nei suoi ascoltatori?
«Ero molto preoccupato dall’innescarsi di un meccanismo di invidia, di rigetto. Capisco che se prospetti una via di fuga possibile per tutti gli stai togliendo l’alibi. In realtà il libro sta andando benissimo: è andato esaurito in quattro giorni, è entrato subito in classifica e ogni giorno, mi arrivano migliaia di messaggi al giorno. Tanta gente mi scrive per dirmi che credeva di esser sola e invece trova un collettore, un modo per venire fuori. Altri invece mi scrivono per ringraziarmi di avergli aperto questa via di fuga».
Cos’è il downshitfing?
«E’ una pratica più leggera, consiste nel cambiare ritmo, rallentare. Ovvero scegliere il part-time, rinunciare alla carriera, anche ai soldi a favore della famiglia, di se stessi».
Invece lei ha scelto una svolta radicale.
«Sì, ad un certo punto ho capito che volevo essere libero da tutti i condizionamenti che potevo eliminare, non libero in assoluto perché quello non è proprio possibile. Non volevo battere i tacchi se qualcuno mi chiamava al telefono, né presenziare a cene ufficiali, né fare viaggi di lavoro, libero di non dover passare tutta la mia giornata con gente che non mi piaceva. Ho capito che mi stavo concedendo una possibilità più grande, quella di re-impostare tutta la mia vita, persino il mio rapporto con i consumi, con l’ambiente».
Perché suggerisce di munirsi di un avvocato per pianificare la nuova vita?
«Per un motivo molto semplice. L’impresa è molto furba e ben organizzata, ha uffici legali, vincoli, clausole. Può non essere semplice dal punto di vista dei rischi ma secondo me con le aziende bisogna comportarsi in maniera rigida, esigente, poiché sono loro le prime ad essere dure ed esigenti con i dipendenti appena possono, fra riduzioni del personale e vessazioni varie»
La spaventa il sogno comune: vincere il Superenalotto e mollare tutto.
«Mi spaventa perché è quella cosa che si dice, sognando in modo non concreto. Si dice perché si sa che molto difficilmente accadrà. Chi fa questo ragionamento lo fa solo per buttare il cuore, non oltre la barricata ma sulla luna, è un modo di sognare non concreto, non si può sempre sperare in un cambiamento che arriva dall’alto. Il cambiamento non deriva dai soldi che permettono di attuarlo ma soprattutto dalla liberazione dai propri vincoli psicologici. Bisogna pensare che quando tutti andranno a lavorare e noi no, subentrerà anche la solitudine ma nessuno ci pensa. Il cambiamento vero arriva, secondo me, in modo graduale, giorno dopo giorno con un impegno reale, un lavoro su se stessi».
Lei sottolinea che questo libro ha un lettore ideale. Chi è?
«Faccio più riferimento ai professionisti, agli imprenditori, ai negozianti. E’ rivolto a tutti quelli, fra i 35 e i 50 anni, quelli che hanno fatto di tutto per emergere e trovare uno spazio ma adesso non ce la fanno più».
Adesso fa la vita che sognava?
«Ci sono molto vicino».
Pensando al suo libro lo accosto idealmente al “Walden”. Le piace l’idea di aver scritto un’opera di resistenza civile?
«Mi onora, sarebbe bello che fosse così. Qui non si parla di nessun movimento, al centro del libro io pongo il singolo e la necessità di prendere coscienza del proprio posto e del fatto che bisogna impegnarsi giorno dopo giorno se si vuole davvero essere liberi».