L'universo di dolore ha fatto irruzione all'improvviso nelle nostre piccole beghe quotidiane, nelle miserie collettive, nei rancori. E ci ha ricordato che la nostra vita è altro. E che resta solo l'amore
Avevo pensato di dedicare la rubrica domenicale alla Messina che vorrei se fossi sindaco ed al clima di una delle peggiori campagne elettorali che io abbia mai dovuto raccontare come cronista.
Poi è arrivato il dolore. Un pugno nello stomaco fortissimo, che lascia senza parole e senza fiato. Sono arrivati Francesco Filippo e Raniero Messina, le loro piccole e meravigliose vite spezzate nel rogo di via dei Mille. Ho avuto difficoltà persino a leggere gli articoli dei miei stessi colleghi, non avevo la forza di andare oltre il titolo. Avevo paura di scorgere, tra le righe di quella dinamica, ancora più dolore. Da mamma posso solo immaginare quello che hanno passato i due genitori in quei minuti, ore, per salvare tutti e 4 i loro bambini. Sapere di non riuscire a proteggerli, sapere che stavano soffrendo e non riuscire a diventare la mano di Dio o del fato, per un momento, anche solo un istante, per salvarli.
Eravamo tutti immersi nel fango di una campagna elettorale insopportabile ed all’improvviso la vita vera ha fatto irruzione nelle nostre misere cronache quotidiane.
Quell’oceano di strazio mi ha aiutato a riportare ogni cosa nella giusta dimensione: le nostre beghe quotidiane, i problemi che ci sembrano montagne, le lamentele ridicole, i rancori che ci trasciniamo dietro come zavorre per anni, sono NULLA. Passiamo ore, giorni, mesi, dietro a cose che ci appaiono insormontabili e che invece sono solo l’eco del nostro io smisurato, amplificazioni di egoismi e delle quali potremmo tranquillamente fare a meno.
Un genitore non deve sopravvivere ai propri figli. Ho trascorso tutto il giorno di venerdì a sentirmi quella madre, quel padre, a sentire sulla mia pelle la sofferenza di Francesco e Raniero e quella dei loro genitori che non hanno potuto salvarli. Di fatto quei genitori sono morti venerdì insieme ai loro due bambini.
E mentre pensavo a Francesco, il più grande, che con gesto “materno” tornava indietro per portare con sé il fratello più piccolo ma spariva inghiottito dal fuoco, mi chiedevo perché visto che l’amore è la forza più straordinaria, alla fine, nella realtà del nostro vivere quotidiano, rinsecchisca come una pianta avvizzita. Lasciamo sempre che siano altri sentimenti o emozioni a prevalere. Ci facciamo sopraffare da altro. Tutto l’amore che c’è in queste immagini di tragedia fa da contrappasso all’odio che in questa campagna elettorale ha iniziato a scorrere inarrestabile.
Lo so che può sembrare banale parlare di amore oggi, ma è l’unica forza vitale che esista, è l’unica energia che muove l’universo e le comunità.
Improvvisamente di fronte allo strazio di quei cuori ho ridimensionato quel che per me era diventato importante in questi mesi. Improvvisamente mi sono ricordata che le nostre giornate devono essere piene di parole e di azioni. L’amore si deve dire, l’amore si deve fare carne e azione. Le parole vanno dette, perché sono medicine, sono balsami, sono profumi, colori, sapori.
Perché la differenza sta tutto in un soffio, in un attimo.
Quel soffio per cui una famiglia lascia la casa al mare per tornare in via dei Mille, giusto il tempo di consentire al figlio più grande di sostenere gli esami. Torna per una notte. E quella notte invece diventa eterna. Un soffio, un istante, ha trasformato la felicità in tragedia. A quel punto resta quello che è stato in tutti questi anni. L’amore infinito di una famiglia, di una madre che sorrideva vedendo il figlio camminare carponi e poi camminare e poi correre e poi cadere e tornare a casa con le ginocchia sbucciate. Un padre che gli insegnava a giocare a pallone. Due genitori che sognavano un meglio per i loro figli che non ci sarà mai.
Dobbiamo smetterla di correr dietro a cose vane, alle ambizioni inutili, al rancore, all’offesa dell’altro. E più penso alla tragedia più mi fa orrore la settimana che abbiamo davanti ed uno scenario futuro che potrebbe vedere ancora una volta la città divisa tra tribù. Come giornalista ho trascorso settimane (ma anche gli anni precedenti) insultata da bande armate di pc e telefonini che usano i commenti per aggredirti e nulla sanno della tua vita, dei tuoi valori, dei tuoi sogni, delle tue sofferenze. Nulla sanno di quanti sacrifici è costato a ognuno di noi arrivare fin dove siamo arrivati. Eppure riversano fiumi di fango e livore come in un Colosseo e tutto questo mi spaventa. Voglio tornare ad un mondo nella quale la persona E’.
Eppure anche questo livore che continuo a subire e l’amarezza che ne provo sono scomparsi e mi sono sembrati infimi, granelli di polvere, di fronte al vero dolore ed all’unica cosa che conta. “Non mi avete fatto niente, non mi farete niente”.
Perché la mia vita è altro, la nostra vita è altro. E’ amore.
Non mi vergogno di dire che ho pianto immaginando Francesco che tornava indietro verso Raniero. Sono una sorella maggiore, la primogenita e questo senso materno l’ho avuto sin dal primo giorno. In generale però la natura dell’uomo è quella di tornare sempre indietro a prendere il fratello, la sorella più fragile, dell’umanità. Gli si dà la mano se cade, se non riesce a correre ad essere bravo come noi, se non ha fiducia in sé, lo si aiuta ad andare avanti se si accascia. E’ questo che dà il senso alla vita.
Il tornare indietro per prendere la mano dell’altro e camminare insieme. Anche in mezzo alle fiamme, alla bufera, al terremoto, anche se ci sono intorno i lupi o gli sciacalli. Questa è la famiglia umana.
La vita è un soffio e questo soffio devi riempirlo d’amore perché poi, quando arriva il fuoco, l’acqua, il vento, l’unica forza che resta è l’amore.
Lo canta Ligabue: “l’amore conta, conosci un altro modo per fregar la morte?”.
Mi son ritrovata venerdì pomeriggio a parlare da sola in una panchina insieme a mia sorella Celeste che non c’è più da 9 anni. A un certo punto mi son girata verso di lei e le ho detto questa cosa, anche se le persone intorno mi hanno presa per pazza. Le ho detto: “l’amore conta, conosci un altro modo per fregar la morte?”
E d’improvviso è scomparso il mondo, la campagna elettorale, i Napalm51 che mi insultano da 5 anni e quelli che lo fanno nella vita reale, le risse dei talk show, i razzisti, i cori, tutto.
E improvvisamente mi sono sentita veramente viva, e libera.
Siamo rimaste solo noi. Io e Celeste. Perché l’amore conta.
Rosaria Brancato
Rosaria Brancato non ti conosco ma è tutto vero quello che hai scritto.E’ l’amore che conta nella vita,l’amore che dai anche se a volte non ne ricevi ma ti sentì meglio se riesci a darlo lo stesso.Lui è amore e senza di Lui non si può vivere,la vita diventa un inferno.Grazie per quello che hai scritto.
Grazie.
Ho letto il suo articolo tra le lacrime. Un padre e un nonno
cara rosaria, sei una grande giornalista e le tue parole appena censite su questo giornale dovrebbero essere lette ogni giorno da tutti noi .
il significato e l’importanza di una vita è rinchiusa in due semplici parole anticipate da un puro sguardo…. “Mamma , Papà” …. da lì si apre il mondo ed esplode l’amore .
ciao fifì , ciao nenè
Cara Rosaria
Sei brava!
Continua così
Sai scrivere con una umanità che pochi uomini sanno esprimere, anzi non riescono.
Hai ragione,l’amore è tutto, e per noi donne è l’essenza della vita.
Tutto perde importanza difronte la perdita di un amore:filiale, fraterno ecc
Hai ragione solo bisogna amare