La Procura di Messina ha spiccato i primi avvisi di garanzia in vista degli accertamenti
Non è più a carico di ignoti l’indagine della Procura di Messina sul depistaggio dell’inchiesta sulla Strage di via d’Amelio costata la vita al giudice Paolo Borsellino e degli agenti della scorta.
I pm della città dello Stretto hanno iscritto nel registro degli indagati alcuni magistrati – non è ancora noto quali – del pool che
indagò sull’attentato. Agli indagati e alle persone offese oggi la Procura ha notificato l’esecuzione di accertamenti tecnici
irripetibili.
In concreto si tratta del riversamento di 19 bobine contenenti registrazioni, che sarà effettuato dal RACIS di Roma il prossimo 19 giugno. Ancor più nello specifico si tratta di riversare, quindi trascrivere, le intercettazioni registrate su supporto Radio Trevisan, o RT 2000, che la Procura di Caltanissetta ha trasmesso alla Procura di Messina qualche mese fa.
L’indagine messinese nasce infatti dalla trasmissione di atti che il procuratore di Caltanissetta, Amedeo Bertone, e l’aggiunto Giuseppe Paci hanno effettuato nei confronti dei colleghi peloritani alla fine dello scorso anno.
Alla procura guidata da Maurizio De Lucia i colleghi nisseni hanno inviato alcuni atti dell’indagine sul depistaggio, in particolare le 19 bobine in originale, e le motivazioni della sentenza del processo Borsellino Quater.
Durante la lettura di quel verdetto, infatti, la Corte d’Assise aveva trasmesso alla Procura alcuni verbali di udienza, per “valutare quanto di sua competenza”. Fuor di termini giuridici: se ci fossero ipotesi di reato nei fatti raccontati da qualcuno durante il processo.
La sentenza scrive nero su bianco, infatti, che il pentito Vincenzo Scarantino, uno dei grandi accusatori del processo sulle stragi, fu indotto a mentire. Il pentito Scarantino fu pilotato? E da chi? L’indagine è ben lontana dal tracciare ipotesi in merito.
Al momento si tratta di ritrascrivere le intercettazioni e gli audio degli interrogatori del pentito. E ad occuparsene è Messina perché a Catania è in servizio uno dei magistrati che si occupò dell’indagine sulla strage di Capaci, ovvero l’aggiunto Carmelo Petralia, oggi indagato insieme alla collega Annamaria Palma.
Molti dei protagonisti di quella collaborazione sono nel frattempo scomparsi. A cominciare dal magistrato Giovanni Tinebra e dal capo del pool di investigatori, Arnaldo La Barbera. Gli investigatori che facevano parte del pool che lavorò con Di Matteo, Mario Bo, Fabrizio Matteo e Michele Ribaudo, sono già sotto processo a Caltanissetta.
Mentre la posizione dei magistrati è stata stralciata e trasferita per competenza a Messina. L’ipotesi di reato è il concorso in calunnia con l’aggravante di aver favorito Cosa Nostra. Rispetto al processo in corso a carico dei poliziotti, però, quella messinese è una inchiesta che parte di fatto ex novo, visto che anche a Messina queste bobine saranno riversate e trascritte.
Tra i magistrati che hanno firmato atti relativi a quella inchiesta ci sono anche, Nino Di Matteo, Francesco Paolo Giordano e Fausto Cardella.
A Messina c’è un altro nome coinvolto in qualche modo in questa vicenda, ovvero l’avvocato Fabio Repici, legale di Salvatore Borsellino come parte offesa nel processo sulle stragi. Il legale ha più volte sottolineato le storture di alcune deposizioni agli atti del processo. Ed è tra i principali accusatori di un altro nome messinese, che lui stesso ha più volte chiamato in causa in questo contesto, ovvero il legale barcellonese Rosario Pio Cattafi, inizialmente accusato di concorso esterno alla mafia, scagionato dalle accuse più pesanti e in attesa di processo d’appello bis a Reggio Calabria, dopo un rinvio della Cassazione.
Cattafi, indica Repici, è uno di quelli che ha usufruito del così detto “Protocollo Farfalla“. Nel frattempo Cattafi, come detto, è stato in parte scagionato, mentre anche l’avvocato Repici è entrato nel calderone dei legali che assistono pentiti “sospetti”.
Uno dei suoi assistiti, l’ex boss Carmelo Bisognano, è stato infatti arrestato dopo il pentimento e condannato per false dichiarazioni e per aver tentato di mettersi in affari con un costruttore condannato per mafia, per poter continuare a fare affari malgrado i sequestri.
Cattafi qualche anno fa ha rilasciato diverse dichiarazioni ai magistrati messinesi su quel periodo e i suoi presunti rapporti sia con boss che con pezzi dello Stato, a suo tempo trasmessi dagli investigatori messinesi ai magistrati che allora indagavano sula trattativa.