Quanto costavano i certificati di invalidità falsi, i clienti eccellenti e quei gioielli di loggia rubati. Tutti i retroscena dell'inchiesta sulle truffe Inps a Messina
Mentre gli indagati si preparano al confronto col giudice per le indagini preliminari per vagliare le ipotesi di reato delineate dalla Procura a loro carico, dalle carte dell’indagine sulle pratiche di invalidità “pilotate” emergono moltissimi episodi che rendono conto di una enorme rete di rapporti, secondo la magistratura basati in gran parte sulla corruzione, che sta dietro il mondo delle truffe all’Inps e “dentro” la sanità, pubblica e privata.
Tutto ruota intorno, nel caso di questa inchiesta della Pm Rossana Casabona, alla figura di Giovanni Grassi: le cimici sulla sua auto e le intercettazioni delle conversazioni telefoniche hanno dato conto agli investigatori dei suoi contatti con gli avvocati che seguivano le pratiche di invalidità e in particolare i ricorsi contro le domande respinte dall’Inps, e con i medici che, secondo lo stesso Grassi, in molti casi pretendevano denaro in cambio o dell’assegnazione di una “pratica” o di un certificato favorevole.
Partendo dalle sue conversazioni, gli investigatori hanno esaminato la documentazione sanitaria dei casi trattati da Grassi, acquisendo molti incartamenti anche presso i principali ospedali pubblici di Messina e provincia e interrogando i responsabili dei dipartimenti e gli stessi medici interessati. Parallelamente, hanno anche fatto esaminare la stessa documentazione, se non gli stessi pazienti, a consulenti medici, per un parere sulla patologia diagnosticata ai clienti di Grassi.
Ne è venuto un quadro di numerose irregolarità tale da convincere il Pm Casabona a richiedere un gran numero di arresti, su 108 indagati in totale. Ma il giudice delle indagini preliminari non ha ritenuto possibile applicare misure cautelari, soprattutto in ragione del tempo trascorso dalle ipotesi di reato contestate al momento nel quale sarebbero scattati gli arresti. Di là delle esigenze cautelari, però, anche per il GIP i sospetti che i documenti di invalidità e alcune cause in Tribunale fossero “comprate” sono molti pesanti.
In una conversazione intercettata, ad esempio, Grassi racconta esplicitamente ad una persona a lui molto vicina come funziona il meccanismo, e qual è la sua “percentuale”. Spiega anche che il suo “prezzo” può lievitare se il medico che deve rilasciare il certificato pretende un pagamento. E parla di pagamenti tra i mille 500 e i 2 mila euro. Nel caso di una dei legali finiti nel calderone di indagine, riferisce di avere le deleghe in bianco degli stessi legali, su loro carta intestata.
Nel caso di uno dei medici che collabora con lui a più stretto contatto, fa sorgere agli investigatori molti dubbi sui certificati procurati per la moglie del boss “Puccio” Gatto e a favore di Floriana Rò, anni fa nota per essere la compagna di vita e di crimine dello storico boss di Giostra Giuseppe Mulè, poi deceduto.
Infine, spulciando le conversazioni telefoniche, viene fuori anche una vicenda piuttosto curiosa, che secondo la magistratura indica la stretta relazione tra Grassi e uno dei medici indagati, nonché la consapevolezza da parte del medico che Grassi fosse una persona in grado di muoversi in diversi ambienti.
Si tratta di un anziano medico, dipendente di una struttura pubblica oggi in pensione, noto sia per la sua esperienza professionale che per la sua attività all’interno della massoneria.
Nell’ottobre del 2013 al medico sono state rubate dall’auto due borse da lavoro. Per recuperarle si è rivolto proprio a Grassi, che se ne vanta in diverse conversazioni. Nelle borse ci sono documenti importanti, pratiche, documentazioni sanitarie. Ma ci sono anche preziosi gioielli legati alle sue pratiche massoniche.