"Ama ciò che fai, ma non smettere mai di lottare per ciò che ami veramente"
Scambiamo quattro chiacchiere con Eliana Camaioni, la scrittrice messinese autrice del romanzo “L’Amoretiepido” (Pungitopo ed.).
Dopo il tour che ha portato l’autrice a presentare il suo libro anche a Torino e a Brescia, ha preso il via pochi giorni fa il concorso letterario dal titolo “Uno, nessuno, centomila amoritiepidi”, avente per oggetto la riscrittura del finale del romanzo. Il vincitore riceverà come premio l’edizione in ebook de “L’Amoretiepido” con l’indicazione del proprio nome accanto a quello dell’autrice e con il finale da lui riscritto.
Oggi l’autrice si racconta a Tempostretto con schiettezza e senza riserve, parlandoci del suo romanzo ma anche un po’ di se stessa. Ci parla di precariato, ma anche dei rapporto di coppia, oggi sempre più travolti e manipolati da modelli sociali fuorvianti, promotori di inautenticità. Ci parla di come, oggi più che mai, inseguire i propri sogni sia una scelta coraggiosa, estrema… ma ci invita a percorrerla a testa alta, brandendo le sole armi che possediamo: passione e preparazione.
–L’Amoretiepido è il tuo terzo romanzo, dopo Di verità non dette (2007) e Il legame dell’acqua (2009). Anche nel primo dei tuoi romanzi la protagonista, Marta Grimaldi, era una trentenne preparata ma precaria. Come mai hai scelto di tornare ad affrontare questo tema e in cosa senti che queste due opere differiscono maggiormente?
-Quello del precariato è un tema a me molto caro: nel primo e nell’ultimo dei miei romanzi ho scelto di rappresentare, pur romanzandola, una fetta di vita vera, reale. E il trenta-quarantenne medio di oggi, a meno di fortunate eccezioni, è preparato e precario, come le due protagoniste Marta e Rosa. La differenza sostanziale fra le due opere, però, è il punto di vista: “Di verità non dette” vive unicamente attraverso gli occhi di Marta; “L’Amoretiepido” ha una visione corale e poliedrica dei fatti, regalata narrativamente dal punto di vista dei sei personaggi (che diventano, in una certa misura, tutti coprotagonisti) e narratologicamente dall’alternarsi di capitoli in prima persona (raccontati da Rosa) e capitoli in terza persona, dove un narratore esterno regala scorci di realtà –e di verità- ai quali Rosa non può accedere.
-Nonostante la complessa realtà storica nella quale si trova a vivere, Rosa è una donna in gamba ed affronta le sfide che la vita le pone di fronte rimboccandosi le maniche e cercando di fare del suo meglio. Lo vediamo nello spirito con cui, dopo la resistenza iniziale, si lascia coinvolgere dall’idea di lavorare con la classe e di provare a costruire insieme qualcosa. Il tuo messaggio è forse “se non puoi fare ciò che ami, ama ciò che fai”?
-Direi piuttosto: “Ama ciò che fai, ma non smettere di lottare per ciò che ami veramente”. Quanti dei quarantenni di oggi si ritrovano a fare il lavoro che avevano scelto di fare, quello per cui hanno studiato? E’ quasi un dogma, soprattutto qui al sud: ama ciò che fai, e ritieniti fortunato per il sol fatto di avercelo, un lavoro. Dogma che crea, però, una generazione di depressi: quasi come se credere nei propri sogni fosse un lusso che non ci si può più consentire.
-Ad un certo punto, nel romanzo, si ha l’impressione che la precarietà nel lavoro contagi anche l’ambito sentimentale: sembra quasi trasparire, in particolare dalla figura di Lapo, una sfiducia nei confronti dell’unione matrimoniale come qualcosa di duraturo. Credi che il legame di una coppia sposata, dopo i primi tempi di entusiasmo e complicità, sia destinato a perdere di senso e inaridirsi? E quanto ha a che fare questo, oggi, con la mancanza di stabilità economica?
-La vicenda di Lapo e Luisa ho voluto raccontarla perché è esemplare di un’altra caratteristica dei quarantenni ai tempi della crisi: il matrimonio che implode, poi sembra esplodere, poi recupera, e così via, in un’altalena logorante quanto e più di un divorzio netto. E non soltanto per colpa della mancanza di stabilità economica: credo sia parte di una confusione esistenziale più complessa, figlia da un lato di un capitalismo consumistico che rottama tutto, anche i rapporti, al primo segno di malfunzionamento, dall’altro di un infantilismo congenito che porta l’individuo a non voler rinunciare a nulla: alla stabilità che solo un rapporto di lunga data può dare, e al contempo all’ebbrezza di una o più storie clandestine e rubate.
-Tu hai scelto Rosa come protagonista della storia, lei è l’unica a parlare in prima persona e ad aprirci il suo cuore in modo diretto. In realtà anche gli altri personaggi non sono semplici comparse, riusciamo a coglierne una certa interiorità; ma il vero scavo psicologico lo fai sui personaggi femminili. L’impressione che si ha alla fine è quella che l’Amoretiepido sia una storia di donne, è così?
-E’ una storia di rapporti (difficili) fra persone, filtrata dalla sensibilità di una donna. Che tenta di dimostrare come non esista mai una verità univoca, un solo torto e una sola ragione, scardinando i luoghi comuni e i clichè e facendo virare in modo imprevisto anche i personaggi stessi. Loredana, per esempio.
-Concentriamoci per un momento sul personaggio di Loredana: questa figuretta che all’inizio ci appare a metà tra l’insignificante e l’antipatico. Poi invece scopriamo tutti i retroscena della sua vita, la frustrazione di essere sempre l’eterna seconda, l’essersi quasi annullata per stare dietro ai capricci di quello che sperava un giorno potesse diventare a tutti gli effetti il suo uomo. La forza con cui poi decide di ribaltare la situazione a mio parere ne fa un ottimo esempio per chi vive una realtà simile. Lo trovo un personaggio molto attuale.
-Loredana paga lo scotto di essere cresciuta: nell’incoscienza della gioventù aveva immaginato romanticissimo aver attratto a sé un uomo sposato, avere con lui una storia segreta che “come un limoncello era solo un distillato di ciò che di meglio un rapporto può offrire” , vagheggiando un happy ending. E per questo, a quell’uomo aveva consacrato la sua vita: ogni sua scelta era stata fatta, da principio, per rimanergli accanto. Poi Loredana è cresciuta, quell’ebbrezza è passata e ha cominciato a desiderare una vita vera, al posto di interminabili weekend da telenovelas; una vita fatta di quotidanità, di progettualità, che quell’uomo, infantilmente incapace di prendere una decisione univoca e definitiva, non le avrebbe mai dato. Loredana reagisce il giorno in cui all’amore per quell’uomo antepone l’amore per se stessa.
-La storia si chiude con la descrizione di questo neologismo che dà il titolo al romanzo. Vorresti provare a farci entrare un po’ in questo stato emozionale? Che cos’è per te l’ “amoretiepido”? E’ un antidoto segreto contro la fine di un amore o un consiglio al lettore che recita “non prendere le emozioni troppo sul serio ma, semplicemente, lasciati confortare da esse finché durano”?
-Niente di tutto ciò. L’amoretiepido è l’antidoto ai falsi miti della società contemporanea: è quello che scalda senza scottare, che ti avvolge rassicurante col suo tepore. E’ il fuoco duraturo di un buon legno stagionato, in opposizione alle fiamme scenografiche e caduche della passione tanto osannata dai media.
-Confrontiamo per un attimo la tua esperienza con quella di Rosa: tu cosa volevi fare da grande, l’insegnante, la ricercatrice o la scrittrice? Ci sei riuscita e quanto hai dovuto lottare?
-Rosa è andata ad insegnare perché era l’unica cosa che la vita le offriva, con una ‘inutile’ laurea in lettere alle soglie del terzo millennio. Io quella stessa laurea l’ho presa per amore della letteratura, per inseguire il sogno di diventare scrittrice. Ricercatrice lo sono stata per un po’, e non esiterei a riprendere quella strada laddove mi si presentasse l’opportunità di farlo. Ad insegnare invece ci sono andata mio malgrado, è un mestiere che odio: l’ho fatto solo quando non ho potuto fare diversamente. Non mi pento, oggi, di aver detto addio allo status di professore per dedicarmi a tempo pieno alla scrittura. Ho dovuto lottare tanto, con me stessa e con i luoghi comuni secondo cui ‘chi lascia il certo per l’incerto…’, per prendere la decisione di chiudermi alle spalle quella porta che in qualche modo mi garantiva il pane quotidiano, a fronte di un allora incerto futuro da scrittrice. E’ stata la scelta più difficile in assoluto. Ma è una scelta che rifarei, senza esitazioni.
-Cosa vuoi dire ai molti giovani che oggi si affacciano al mondo del lavoro?
-Di seguire le proprie aspirazioni, di combattere, di studiare davvero tanto e di essere davvero preparati: sono le uniche armi che abbiamo per cambiare il mondo.
Eliana Camaioni è Dottore di Ricerca in Filologia e docente precaria di Italiano e Latino. E' stata finalista al Premio Molino col racconto Un uomo, menzione di merito al primo Premio Letterario Terremoti di Carta con il racconto Stretto di Messina (2012) e vincitrice dello stesso premio con il racconto Senza paracadute (2013). Ha pubblicato due romanzi: Di verità non dette (2007) e Il legame dell'acqua (2009). L'amoretiepido è finalista del Premio Letterario Perseide.