L'autore si è gentilmente prestato a rispondere alle nostre domande, raccontandoci i retroscena dei rapporti tra i personaggi del suo ultimo romanzo, "Cuore primitivo"
Tempostretto ha avuto il piacere di incontrare lo scrittore Andrea De Carlo, ospite alla libreria Bonanzinga per presentare il suo diciottesimo romanzo, "Cuore primitivo" (Bompiani). Un incontro d’eccezione con una personalità che, oltre ad una ricca produzione letteraria, ha alle spalle anche una vita avventurosa quanto quella dei suoi personaggi.
Lettore vorace fin dall’infanzia, De Carlo inizia a scrivere a diciotto anni, con una Lettera 22 portatile, rossa, regalatagli dalla madre. Da lì tutto comincia, con i viaggi in giro per il mondo, negli Stati Uniti, in Australia, in Centro e Sud America, con l’incontro con Calvino, che scrive la quarta di copertina per il suo primo romanzo ("Treno di panna"), la collaborazione con Fellini e Antonioni, le esperienze come regista, la passione per la fotografia e per la musica (l’autore ha anche composto diversi brani musicali)…
Ad accoglierlo, qui a Messina, l’autore ha trovato il calore di una moltitudine di lettori, con i quali si è soffermato a dialogare con grande disponibilità e simpatia. A conclusione della serata, si è poi gentilmente sottoposto alle nostre domande, raccontandoci dei retroscena sentimentali e delle dinamiche psicologiche in atto tra i protagonisti di Cuore primitivo: la bella e selvaggia scultrice di gatte Mara, il saccente antropologo Craig… e l’intrigante costruttore Ivo, elemento destabilizzante di un matrimonio già sul punto di crollare.
In una precedente intervista, lei ha detto che ama investigare sui rapporti interpersonali tra gli individui. In “Cuore primitivo”, i protagonisti sembrano incarnare virtù opposte. L’istinto si contrappone alla razionalità. Eppure le stesse prerogative dei singoli dopo un po’ si scardinano… Craig, ad esempio, ha girato il mondo ma è rimasto prigioniero tra le quattro mura del suo ego.
Ho voluto fare questo esperimento: dentro un piccolo nucleo spaziale, inserire personaggi molto diversi per carattere e retroterra culturale. Ognuno ha le sue peculiarità, ma nessuno è totalmente omogeneo. Craig è un osservatore del comportamento umano, analizza azioni e reazioni di chi lo circonda con l’occhio del teorico. Poi però rimane vittima delle stesse emozioni che critica negli altri, prova gelosia, rancore, senso di possesso. Ivo, poco colto, con i piedi per terra, ha però fantasia e capacità di osservazione. Questo perché ciò che mi interessa, nel creare un personaggio, è scardinare dei clichès. Ad esempio lo studioso, la scultrice tutta arte ed istinto… si, c’è tutto questo, ma poi dentro ognuno di loro si cela una complessità molto più profonda. In ogni personalità coesistono impulsi contrastanti. Poi noi li superiamo attraverso una scelta, scegliamo di presentarci al mondo in un certo modo, ma dentro siamo consapevoli di avere molte contraddizioni.
Nel confronto tra Ivo e Craig, il primo, apparentemente più “primitivo”, emotivamente sembra essere più umano. Allora forse, nell’ottica di questo romanzo, possiamo intendere il concetto di primitivismo come un ritorno all’istintività, e quindi all’autenticità?
Sì, beh non posso dire che si debba tornare indietro, certamente la nostra evoluzione è una conquista rispetto a quando vivevamo nelle caverne. Però a volte questa evoluzione comporta una perdita di rapporto con il proprio istinto e con i propri sentimenti più profondi e più veri. Quindi, in questo senso, è vero che Ivo è un uomo più autentico. Ha meno atteggiamenti, meno sovrastrutture, e proprio per questo cattura l’attenzione di Mara. Però, nello stesso tempo, è chiaro che lui ambisce ad essere qualcosa di più di un semplice manovale, ha anche dei sogni, delle idee. Ma in una scala di complicazioni lui è certamente un uomo più semplice e più diretto. Per come lo percepisce Mara, è l’opposto di suo marito.
…E le dà delle risposte che lei non trova nella sua vita matrimoniale. Eppure Mara, come molte donne, prova a giustificare le mancanze di Craig, chiedendosi se non sia lei a pretendere troppo dal suo matrimonio.
Sì, effettivamente la donna tende sempre ad attribuirsi le colpe. Al contrario di come fa l’uomo, la donna in genere si colpevolizza del mancato funzionamento della coppia, chiedendosi cosa avrebbe potuto fare di più. Ed è interessante, in questo caso, scoprire cosa succede nel cuore e nella testa di una donna che si trova ad essere molto scontenta di un rapporto, ma non riesce a capire esattamente il perché. A volte un terzo personaggio può intervenire con un effetto “rivelatore”, come nel caso di Ivo.
Cosa succede tra loro?
Io non mi immagino che tra loro nasca chissà quale storia d’amore, o che duri chissà quanto tempo, però certamente Ivo ha l’effetto di mettere in risalto la scontentezza di lei. Lei capisce che il suo matrimonio con l’antropologo è finito. E’ ancora affidato alla routine, alla consuetudine di condividere la quotidianità, certo, ma senza dubbio non c’è più la passione, lo slancio che gli aveva dato vita sette anni prima.
Spostando l’attenzione sulla psicologia maschile, gli atteggiamenti che assumono i due uomini e le dinamiche che si innescano sono molto particolari. Craig, apparentemente molto sicuro di sé, odia mostrare le sue debolezze, mentre Ivo, forte di natura e portato a prendersi cura degli altri oltre che di se stesso, non ha paura di esternare le sue fragilità.
Sì, da questo punto di vista è interessante osservare quanto possano essere diversi tra loro due individui, non solo in base al loro carattere, ma anche al ruolo sociale che ricoprono. Ad esempio da un professore, autore di libri, ci si aspetta un certo atteggiamento di distacco e di non coinvolgimento, mentre da un manovale no. Molti dei nostri gesti derivano da quello che gli altri caricano su di noi, dalle aspettative sociali, e ogni volta che proviamo ad uscire dal binario, non comportandoci come ci si aspetterebbe, in effetti creiamo scompiglio.
Mettendosi nei panni di Mara, molte delle lettrici avranno osservato come sia totalmente donna al 100%. Allora sta in questo la vera sensibilità dello scrittore, nel sapersi totalmente calare in qualsiasi entità, maschile o femminile, si “impossessi” di lui?
Sì, una delle cose più belle dello scrivere romanzi è la possibilità di abbandonare il te stesso scrivente e diventare altri. Poi per uno scrittore maschio la sfida più grande è proprio entrare nei panni di una donna senza ricorrere a dei clichès o a quello che ci si può immaginare dal di fuori che una donna sia. Forse quello è il salto più grande ed è anche un’esperienza molto educativa per un uomo immaginarsi nei panni di una donna. Di colpo il mondo assume tutta un’altra connotazione.
Ma nella nascita di un romanzo, quanto c’è, per lei, di osservazione del reale, per coglierne stimoli e sollecitazioni, e quanto invece c’è di pura immaginazione?
C’è sicuramente tutto un lavoro pregresso di osservazione, un lavoro che dura una vita, perché uno scrittore non smette mai di osservare e raccogliere dettagli. Poi però una storia quando si manifesta, perlomeno nel mio caso, si manifesta con un’immagine di partenza. In questo caso, quella di un uomo che cade dal tetto. Quella è la scintilla da cui scaturisce il resto. Da lì poi immagino il contesto. In “Cuore primitivo” volevo parlare di un matrimonio che dura da un po’ di anni ed è in crisi, dei rapporti tra due individui scontenti per ragioni diverse… Diciamo che l’immaginazione si mescola all’osservazione e a considerazioni più razionali. Si può ad esempio riflettere sui rapporti interpersonali, ma poi la dimensione del romanzo rende queste riflessioni materia di racconto. E la storia prende vita.
Lei quando ha capito che la dimensione del romanzo era la sua dimensione?
Io l’ho scoperto leggendo. Da ragazzino leggevo molto, non solo romanzi, ma anche ad esempio racconti di viaggio o biografie di personaggi famosi… anche leggendo quelle cose, però, le immaginavo sempre in chiave romanzesca. Poi, quando ho cominciato a scrivere le prime cose, ho capito che il mio piacere più grande stava proprio nel raccontare una storia… inventarla mentre la raccontavo.
Com’è, dal punto di vista dello scrittore, creare un rapporto diretto col pubblico? Lei ad esempio lo fa tramite facebook. Recentemente ha avuto l’idea di coinvolgere i lettori nel “gioco del sabato”, in cui chiede loro di immaginare una storia partendo da una fotografia…
A me piace molto. Devo dire che per un lungo periodo sono stato reticente all’idea di Facebook, perché mi sembrava di rischiare di perdere la protezione della mia sfera privata. Poi ho scoperto che aprire una pagina, piuttosto che un profilo privato, era una bella opportunità per creare una finestra di comunicazione con i lettori e sentire le loro voci. Si crea veramente una forma di dialogo, ed è bellissimo vedere come ognuno risponde alle sollecitazioni che tu dai. Io amo molto la fotografia e in questo contesto è un buono stratagemma per dare avvio ad uno scambio. Anche perché una foto può suggerire tante emozioni diverse ed è interessantissimo vedere la molteplicità di interpretazioni che cento persone diverse possono dare di un singolo istante di vita.
Laura Giacobbe