"Un anno vissuto pericolosamente", il fascino di Giacarta e delle domande pericolose

“Un anno vissuto pericolosamente”, il fascino di Giacarta e delle domande pericolose

Pierluigi Siclari

“Un anno vissuto pericolosamente”, il fascino di Giacarta e delle domande pericolose

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domenica 03 Marzo 2019 - 08:15

Può un giornalista, per realizzare uno scoop, utilizzare un’informazione che gli è stata rivelata da una persona a lui vicina a titolo confidenziale, solo per proteggerlo, mentre, usando la stessa informazione, metterebbe in pericolo proprio quella persona?

Questa è forse la domanda principale che solleva la pellicola che proponiamo per il settimanale appuntamento con la rubrica “I film da (ri)vedere”: Un anno vissuto pericolosamente (titolo originale The Year of Living Dargerously), uscito nel 1982 con la regia di Peter Weir.

Il film porta avanti la classica dinamica di un protagonista che si ritrova a essere un pesce fuor d’acqua in un mondo che gli è del tutto sconosciuto. Siamo nel 1965, e il giornalista australiano Guy Hamilton, interpretato da Mel Gibson, arriva a Giacarta in Indonesia, per il suo primo incarico come corrispondente dall’estero. A rendere ancora più complicato un compito già tutt’altro che semplice, il collega che deve sostituire ha già lasciato la città senza fornirgli alcun contatto, e con i corrispondenti delle altre testate occidentali c’è più concorrenza che cameratismo.

La prima giornata di lavoro si rivela infruttuosa per Guy, ma presto il protagonista entra in contatto con Billy Kwan, fotografo e cameraman del posto, che lo mette nelle condizioni di conoscere e raccontare il Paese, nonché di conoscere Jill Bryan, assistente del colonnello Henderson presso l’ambasciata britannica, con cui Guy inizierà un rapporto conflittuale e appassionato.

A Giacarta si respira una brutta aria, tra la carestia e la politica del presidente Sukarno, e il tentativo di colpo di Stato da parte del Partito Comunista Indonesiano farà precipitare gli eventi.

La trama di Un anno vissuto pericolosamente non è caratterizzata da un ritmo incalzante, pagando dazio in termini di suspense, ma ciò permette di approfondire non solo i personaggi ma soprattutto l’ambientazione. Il film è, di fatto, un omaggio a un Paese che potrebbe essere bellissimo – e in cui, ancora una volta, i governati patiscono per le scelte dei governanti – e a un modo di fare giornalismo con determinazione e coraggio, ma senza perdere umanità.

Oltre a ciò, il film si concentra sulle più intense emozioni umane: la speranza, la delusione, il desiderio, la gelosia, il sentirsi traditi, ricordandoci che non sempre è possibile distinguere tra buono e cattivo o giusto e sbagliato.

La citazione: “Io sono uno stupido?” chiede Kumar al protagonista, e alla risposta negativa di Guy, Kumar riprende “Allora perché devo vivere da stupido nel mio Paese quando nel suo gli stupidi vivono bene?”  

Il premio Oscar: anche se Mel Gibson interpreta Guy Hamilton con una buona dose di fascino e carisma, a risaltare è il personaggio di Billy Kwan, con la sua ambiguità e le sue mille risorse. A interpretarlo, in realtà, una donna: l’attrice Linda Hunt (“Hetty” Lange nella serie NCIS: Los Angeles), che si è aggiudicata l’Oscar come migliore attrice non protagonista, primo caso in cui il premio venne vinto con l’interpretazione di un ruolo maschile.

Perché vederlo: Perché la situazione socio-politica di Giacarta nel 1965 non è così diversa da quella di tante zone del mondo al giorno d’oggi.

Link agli altri suggerimenti de “I film da (ri)vedere”:

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