Parafrasando l’intitolazione di lungometraggi e testi noti, la performance riuscita si muove sui binari disastrati del rapporto primordiale, quello ancestrale familiare.
La Compagnia pattese Santina Porcino ha presentato, per “Il Cortile Teatro Festival”, II parte, c/o l’Area Iris, questo penultimo appuntamento della Rassegna.
La piece si dipana in una sequenza – già ab initio – scoppiettante, in una casa in quel di Milano – quella degli anni 80’, tutta “da bere” – ove alloggia Marika, in fuga da una Sicilia, terra natia, che l’ha respinta, in uno al nucleo familiare, certo per lei non rassicurante e di sostegno, e invece giudicante e per questo respingente.
La protagonista, che tiene molto ad essere accolta quale appartenente al genere femminile, non ha infatti accettato, fin dagli albori della sua esistenza, l’appartenenza al sesso maschile, avvertendo il suo corpo come “difettoso” e gridando a gran voce il suo voler essere percepita quale donna, quale sente di essere, malgrado e a dispetto dell’identità e delle fattezze fisiche avute in sorte.
Il suo paesino d’origine arretrato e ricolmo di gente bigotta l’aveva infatti isolata, in assenza, e ciò è il male maggiore, di protezione genitoriale, con devastanti effetti psicologici, oltre che problematiche penose d’ordine materiale.
Lo spaccato è riferito alla giornata prescelta, che avrebbe dovuto essere perfetta per la nostra protagonista, segnando finalmente, per intercessione della cugina, elemento più illuminato del parentado siculo, la possibilità di riabilitazione: ciò attraverso un risarcitorio incontro a Milano con il padre che, finalmente, dopo anni di isolamento, aveva accettato di rivedere Marika il giorno prima della sua partenza per l’operazione che avrebbe suggellato il cambio di sesso da sempre perseguito con tenacia.
Le aspettative più alte, però, è tristemente notorio, sono sovente frustrate e anche l’esistenza della nostra “eroina per un giorno” sconta tale evidenza… quella riconciliazione, dunque, per cause di forza maggiore, purtroppo non intercorrerà mai.
L’attesa di una giornata, anche di un solo istante perfetto, che ci consenta di “entrare nel quadro” al quale aneliamo e che rincorriamo quotidianamente, è la tematica principale.
Francesco Natoli interpreta con innegabile compenetrazione e quasi identificazione – è in una parola perfetto- i panni scomodi della Marika dello script, che merita il plauso per la completezza con la quale affronta una delle tante vicende di lotta per il pieno riconoscimento della vera identità. Onore quindi agli autori Antonino Anelli e Michelangelo Maria Zanghì, così come all’impeccabile opera registica dello stesso Zanghì, che si muove con fare felpato, sotto traccia giustamente, attento a non invadere la scena più del dovuto, marcando il territorio con deprecabile pesante intervento.
Le preziose scenografie, coloratissime, con un guardaroba adeguato al ruolo, la sedia e il telefono rosso (che è strumento di unico contatto di Marika con il suo mondo presente, quello milanese, che al più la sfrutta per prestazioni sessuali, e quello del passato siciliano), danno il tocco di completezza consono alla mise en scene, toccante e di ottima connotazione psicologica, per aver messo con forza il focus su una realtà ancora squallidamente negletta, e ai nostri giorni rimasta non regolamentata.