Franz Riccobono scopre un’incisione che rivela il legame tra le due martiri
Quando si parla si Santa Eustochia, il pensiero non può che essere rivolto a Santa Eustochia Smerada Calafato, dell’ordine delle monache Clarisse e fondatrice del monastero messinese di Montevergine, di cui in seguito fu Madre Badessa. Della sua vita molto si conosce, ne ha parlato Francesco Maurolico nel 1543 in nell’apposita biografia Vita beatae Eustochii abbatissae cenobii Montis Virginum e più avanti il presbitero Giuseppe Maria Perrimezzi nell’opera De la vita della venerabile serva di Dio sor’ Eustochia Calafato e Romano (Napoli, 1729). Figlia di un ricco mercante, era nata il giovedì santo del 1434 nel villaggio Annunziata.
Di straordinaria bellezza (leggenda vuole che il contemporaneo Antonello da Messina si fosse ispirato proprio a lei come soggetto dell’”Annunziata”, all’età di 15 anni sorse in lei la vocazione, che la condusse ad abbracciare la fede entrando nell’ordine delle Clarisse, con il nome di Suor Eustochia. La scelta di votarsi alla vita monastica fu malvista dai familiari; si racconta che i fratelli in particolar modo avevano minacciato di dare alle fiamme il convento che l’avrebbe dovuta ospitare. Ciò aveva creato non poco allarme tra le stesse Clarisse. Alla fine vinse la sua determinazione ed entrò nel convento di Santa Maria a Basicò, eligendo a sua cella un modesto sottoscala, indossando il cilicio e dormendo sulla nuda terra. Quindici anni più tardi, nel 1464, fonderà un proprio convento, il monastero di Montevergine. Eustochia morirà poi nel 1491 e sarà canonizzata da Papa Giovanni Paolo II nel 1988. Fino a qui, nulla di nuovo, fino a quando il noto storico messinese Franz Riccobono ha casualmente rintracciato una preziosa incisione su rame a tratto risalente al XVII secolo.
La figura incisa rappresenta una bella e giovane donna in atteggiamento di penitenza e profonda passione; notazioni, queste ultime, che non possono che rimandare alla Santa messinese vissuta due secoli prima. Ma a instillare il siero del dubbio nella mente dello storico è stato un piccolo, quanto formidabile dettaglio: nella didascalia all’effige la dicitura è “Sancta Eustochium”. Perché la scelta di generalizzare il nome proprio al maschile? Avremmo dovuto leggere “Sancta Eustochia” oppure “(imago) Sanctae Eustochiae”. E in vece no. Quell’ “Eustochium” non convinceva e meritava una indagine approfondita. Inizialmente si è pensatato ad un Eustochio che fu vescovo di Tours dal 444 al 461, in seguito fatto santo. Un elemento di indagine da cui partire però c’era: la firma dell’incisore. Si tratta del francese Pierre Jean Mariette, vissuto nel Seicento.
Indagando si è scoperto che l’incisione posseduta da Riccobono è stata inserita nel Sylva anachoretica Aegypti et Palaestinae (1619), una antologia di biografie di santi corredata dalle relative incisioni curata da Boetius à Bolswert e Abraham Bloemaert, pittori ed incisori olandesi vissuti a cavallo tra ‘Cinquecento e ‘Seicento. In questo esile libro di appena una cinquantina di pagine, la grande scoperta. La santa raffigurata nell’incisione di Riccobono non è la Santa Eustochia che tutti conosciamo, ma un’altra Santa Eustochia, vissuta mille anni prima della Calafato. Si chiamava Giulia Eustochio, semplicemente nota come “Eustochio” o “Eustochium”. Ecco così svelato il mistero dell’utilizzo del genere maschile. Non un mero errore di stampa quindi, bensì il riferimento ad un’altra persona, Iulia Eustochium appunto. Venerata come Santa dalla Chiesa Cattolica, che ne celebra la memoria il 28 settembre, nacque a Roma nel 368. Era la terza figlia della nobile matrona romana Paola e sorella di Blesilla, Paolina, Rufina e Tossozio. Come Smeralda Calafato, abbracciò la fede all’età di 15 anni, divenendo discepola, insieme alla madre, di San Girolamo. Assistevano infatti alle lezioni del Padre e Dottore della Chiesa nella casa della matrona Marcella situata sul colle Aventino.
Di vastissima cultura, era una raffinata conoscitrice del latino, del greco e dell’ebraico e pare che abbia aiutato lo stesso San Girolamo nella traduzione; questi le scrisse anche tre lettere, tra cui la De custodia virginitatis nel 384. Un anno dopo Eustochio partì con madre e figlia per la Terra Santa e si stabilì in un convento. Alla morte della madre, le succedette quale badessa in tutti e tre i conventi fondati da San Girolamo a Betlemme. Uno di questi fu distrutto e razziato, lasciando Giulia nel più profondo sconforto, che la condusse alla morte nel 419. L’immagine celebre di Santa Eustochio si può ammirare alla National Gallery of Art di Washington, in cui si trova un dipinto del seicento presumibilmente coevo all’incisione di Francisco de Zurbaràn, che la raffigura insieme a Santa Paola e al suo mentore, San Girolamo.
Vittorio Tumeo