Uno strepitoso Branduardi conquista i messinesi

Uno strepitoso Branduardi conquista i messinesi

Giovanni Francio

Uno strepitoso Branduardi conquista i messinesi

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lunedì 19 Febbraio 2024 - 11:00

Un concerto fuori abbonamento per la stagione dell'Accademia Filarmonica

MESSINA – Concerto strepitoso del celebre cantautore, che sabato, per la stagione musicale dell’Accademia Filarmonica, ha entusiasmato il pubblico del Palacultura, gremito fino al tutto esaurito, nonostante il concerto fosse fuori abbonamento.

Branduardi accoglie i messinesi sul suo “tappeto magnifico di versi”

È stata una grandissima emozione aver assistito ad un concerto dal vivo di Angelo Branduardi, eccelso artista, in auge da ben cinquant’anni (il primo album, “Branduardi” risale infatti al 1974).

Le sue canzoni abbracciano diverse influenze artistiche, sia dal punto di vista musicale – dalla musica celtica a quella rinascimentale a quella popolare – sia dal punto di vista dei testi, per la maggior parte dello stesso cantante, che si ispirano ora alla letteratura (in un intero album, ad es. “Branduardi canta Yeats” , l’autore mette in musica dieci poesie del famoso poeta inglese), ora a leggende indiane, racconti popolari, perfino vangeli apocrifi etc, e coniugano alla profondità dei testi, sempre con un recondito e profondo significato, la straordinaria bellezza della musica, che tradisce sempre una impostazione classica, con temi indimenticabili, e spesso arricchita dal suo straordinario violino.

Branduardi è infatti un musicista di estrazione classica, eccellente violinista, ma anche ottimo chitarrista, come ha dimostrato anche nel concerto di sabato.

La sua superba esibizione si è avvalsa della collaborazione di un musicista di assoluto livello, Fabio Valdemarin, che ha accompagnato le canzoni proposte al pianoforte a coda, al pianoforte elettrico, alla chitarra classica, alla chitarra acustica e alla fisarmonica, riscuotendo anch’egli gli entusiastici applausi del pubblico.

Diciassette perle del suo gigantesco repertorio

Il “menestrello” della canzone italiana ha eseguito ben diciassette canzoni, diciassette perle del suo gigantesco repertorio, non risparmiandosi mai, ed interloquendo spesso con il pubblico per spiegare alcuni dei testi, in particolare quelli meno noti.

Dopo i primi due brani, tratti dall’Album “L’infinitamente piccolo”, dedicato alla vita di San Francesco, fra i quali il celebre Cantico delle creature “Laudato sii mio Signore”, Branduardi ha letto una poesia di William Butler Yeats, “Il violinista di Dooney”, un’autentica celebrazione della musica. Un omaggio alla musica è stato tutto il concerto, ove le ballate fiabesche che sembrano provenire da mondi lontani sono emerse in tutta la loro purezza, senza effetti speciali, con la magica interpretazione dei soli due musicisti. La musica ha il compito di farci entrare in quello che Branduardi ha definito un giardino incantato, la cui porta per adesso è chiusa (evidente riferimento alle guerre in corso). Il cantante ha però aperto la porta del suo giardino incantato, con una serie di brani, alcuni notissimi, altri meno, che hanno incantato il numerosissimo pubblico. Fra i brani più noti eseguiti ricordo “La luna”, “Sotto il tiglio”, l’indimenticabile “Il dono del cervo”, un canto sul sacrificio, sulla continuità fra la vita e la morte, sul come non vada sprecato nulla in natura.

“Rosa di Galilea”, un altro brano assai noto, è tratto da un vangelo apocrifo, e il ramo di ciliegio che si piega per offrire i suoi frutti alla vergine fanciulla incinta è una immagine poetica memorabile.

Non meno entusiasmo hanno suscitato i brani meno noti al pubblico, che Branduardi ha reso ancor più interessanti grazie alle sue spiegazioni del testo, come, ad es. “1° aprile 1965”, l’ultima lettera che Che Guevara scrisse al padre prima di morire (due anni dopo), una lettera piena di tenerezza e affetto, quale non ci si aspetterebbe da un duro guerrigliero; o “Lord Frankling”, una commovente ballata sulla infausta spedizione alla ricerca del passaggio a Nord Ovest, ove Frankling ed il suo equipaggio trovarono la morte.

Autentiche ovazioni del pubblico dopo un altro brano forse poco noto, ma bellissimo: “La giostra”, una malinconica e delicata canzone su tempo che passa.

“Confessioni di un malandrino”

Le emozioni più forti, ovviamente quando i due musicisti, entrambi alle chitarre, hanno dato inizio ai toccanti accordi di “Confessioni di un malandrino”, la canzone forse più attesa, che ha dato il nome allo spettacolo. Tratto da una poesia del poeta russo Esenin, il brano, senza dubbio fra i più belli e noti del compositore, ha anche un evidente sapore autobiografico, e le immagini del caro amico vecchio cane, dell’albero dal quale da ragazzo rubava le uova, dei freschi crepuscoli d’aprile, del tappeto magnifico dei versi, e della enigmatica fine verso un paese senza nome, sono rimaste indelebilmente impresse nella memoria.

Angelo Branduardi ha concluso con due bis popolari, tratti dai primi Album, che lo hanno reso famoso.

“La fiera dell’Est” e “La pulce d’acqua”

“La fiera dell’Est”, che in realtà è una filastrocca Chad Gadya, che i bambini ebrei recitano in occasione della Pasqua ebraica per celebrare la liberazione dalla schiavitù egiziana del popolo ebraico. Il ritornello della celebre canzone è stato intonato dal pubblico, entrato davvero in sintonia con l’artista.

L’ultimo brano eseguito, “La pulce d’acqua”, anch’esso famosissimo, è tratto da una leggenda degli indiani d’America, e, pur nella sua magica leggerezza, contiene un forte messaggio ecologico, la punizione riservata all’uomo che non rispetta la natura.

Esecuzione entusiasmante, con la strepitosa performance di Branduardi al violino, che ha concluso un concerto indimenticabile.

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