In manette sono finiti i fratelli Antonino e Carmelo Bonaffini figli di Angelo, e Antonino Mangano. Da aprile 2010 e fino a luglio 2011 la vittima ha versato mensilmente 600 euro. Quando le minacce sono diventate pressanti e non ce la faceva più a pagare ha denunciato tutto alla Polizia di Stato
Seicento euro ogni mese per scomputare un prestito di 5mila euro. Da aprile 2010 fino a luglio 2011 la vittima ha rispettato l’accordo pattuito con i suoi strozzini, quando però non ce l’ha fatta più a pagare e le minacce nei suoi confronti e della sua attività si sono fatte troppo pressanti, il commerciante si è rivolto alla Squadra Mobile. Dopo mesi di indagini oggi i poliziotti hanno notificato ad Antonino Bonaffini, 37 anni e Antonino Mangano, 29 anni, un’ordinanza di applicazione della misura cautelare in carcere nei confronti mentre a Carmelo Bonaffini, 24 anni, sono stati concessi i domiciliari. Tutti e tre devono rispondere di usura ai danni di un imprenditore locale. Ad aprile 2010 un commerciante messinese in ristrettezze economiche si era rivolto ad Antonino Bonaffini (figlio di Angelo) ottenendo da quest’ultimo un prestito di 5mila euro, con l’accordo che l’imprenditore avrebbe restituito mensile 600 euro sino alla restituzione della somma prestatagli in un’unica soluzione. Quando, a marzo 2011, Antonino Bonaffini viene arrestato nell’ambito dell’Operazione Fenice, il compito di riscuotere il debito passa in mano al fratello Carmelo, che si presenta a recuperare il denaro una sola volta e dal cognato Antonio Mangano. A luglio 2011 la vittima del’usura non riesce più a pagare gli strozzini e decide di rivolgersi alla Polizia. Scattano le indagini e le intercettazioni telefoniche che ricostruiscono i mesi e i pagamenti della vittima. Oggi su richiesta del sostituto Monaco il gip Micali ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti dei tre arrestati. Antonino Bonaffini oltre che di usura deve rispondere di tentata estorsione ed evasione dai domiciliari perché per telefono avrebbe minacciato la vittima che tardava a pagare e nonostante le restrizioni previste dalla sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel comune di residenza e dalla misura cautelare degli arresti domiciliari a cui era sottoposto, più volte si è recato presso l’esercizio commerciale per sollecitare con ripetute minacce il pagamento della somma pattuita.
Adesso io non voglio giustificare nessuno.
Ma pensate che una banca gliene avrebbe chiesti di meno?