I giudici della Suprema Corte hanno cassato l'assoluzione dell'ex pm Lembo, ravvisando l'aggravante mafiosa nella gestione del pentito Sparacio. Il processo ricomincerà davanti la Corte d'appello di Catania anche per l'ex gip Marcello Mondello e il maresciallo Princi. L'ex pg D'Ambrosio ha poi chiesto il procedimento disciplinare per i magistrati che scrissero la sentenza d'appello, bollata di "pochezza".
Sembra un ribaltamento di fronte ma “a bocce ferme”. In realtà il verdetto emesso ieri dalla Corte di Cassazione sul Caso Messina qualche indicazione la da. I giudici della Suprema Corte hanno annullato la sentenza d’appello del cosiddetto “processo Lembo”, emessa dal 2012, rinviando gli atti alla Corte d’Appello di Catania. I giudici etnei, sebbene una corte diversa da quella che si pronunciò due anni fa, torneranno quindi ad occuparsi del caso.
La Cassazione ha annullato con rinvio l’assoluzione del giudice Giovanni Lembo, all’epoca dei fatti applicato della Procura nazionale antimafia, ravvisando l’aggravante di aver agevolato l’associazione mafiosa. In primo grado, nel 2008, l’aggravante ex articolo 7 era costata al magistrato la condanna a 5 anni. In secondo grado, nel 2012, i giudici l’avevano riqualificata in aggravante semplice, prescrivendo poi le accuse principali. Adesso la “patata bollente” torna a Catania, dove i giudici hanno ampia autonomia ma devono tener conto dei rilievi della Cassazione.
Sentenza annullata anche per il maresciallo Antonino Princi e per l’ex Gip Marcello Mondello, per il quale i giudici d’appello avevano confermato la condanna a 7 anni. Accolti quindi i rilievi del pg Vito D’Ambrosio, che aveva chiesto alla Corte (presidente Esposito) di annullare la sentenza del 2012. Chiedendo l’annullamento, D’Ambrosio aveva preannunciato che avrebbe valutato l’attivazione dell’azione disciplinare nei confronti dell’estensore della sentenza per la pochezza – a suo dire – del testo. Il pg ha anche precisato che avrebbe trasmesso gli atti alla Procura di Catania per verificare una presunta difformità fra dispositivo e motivazione. In sostanza, a una prima lettura del verdetto, il processo di secondo grado ricomincerà per i due ex magistrati. Per Princi, essendo comunque il reato prescritto, si tratterà in sostanza di definire il risarcimento della parte civile.
LA SENTENZA ANNULLATA. La II sezione della Corte d'appello di Catania aveva chiuso con una sentenza zeppa di ribaltamenti di fronte il caso giudiziario più clamoroso della storia messinese. Al banco degli imputati due ex giudici messinesi e un ufficiale dell'Arma, accusati di aver pilotato le dichiarazioni di Luigi Sparacio, ex boss di primo piano e pentito "principe". Tra gli imputati lo stesso Sparacio. Le lungaggini del processo avevano giovato al principale imputato, l'ex applicato della Procura nazionale antimafia Giovanni Lembo. I giudici catanesi, escludendo l'aggravante di aver agevolato l'associazione mafiosa, contestata a corollario delle due principali accuse, favoreggiamento e abuso d'ufficio, hanno poi applicato la prescrizione per il primo capo e dichiarando quindi il non doversi procedere. L'ex magistrato è stato inoltre assolto dall'accusa di minaccia al pentito Paratore e per lui è stata revocata l'interdizione dai pubblici uffici. In primo grado era stato condannato a 5 anni, con la prescrizione delle accuse di abuso d'ufficio. Assoluzione perché il fatto non sussiste per il maresciallo dei Carabinieri Antonio Princi per le minacce a Paratore, condannato in primo grado a 2 anni.
Rispetto alla sentenza di primo grado, emessa nel 2008, erano rimaste in piedi sostanzialmente le condanne a 7 anni per concorso esterno a carico dell'ex capo dell'ufficio Gip di Messina, Marcello Mondello, ed a 6 anni e 4 mesi per il pentito Sparacio, cioè le condanne del magistrato e del suo principale accusatore, il pentito Sparacio appunto; accertarne la credibilità era il perno del processo stesso.
LA VICENDA. L’accusa per Lembo è quella di aver gestito la collaborazione di Luigi Sparacio in maniera deviata, così da tener fuori dalle dichiarazioni il boss Michelangelo Alfano. A dare il via al caso Messina sono state le dichiarazioni del penalista Ugo Colonna, che nel ’96 denunciò la falsa collaborazione di Sparacio. Alfano e Sfameni erano in contatto col boss messinese Domenico Cavò e, dopo la sua morte, con Sparacio, come hanno raccontato i pentiti, che hanno anche svelato i rapporti di Alfano con i politici e gli imprenditori messinesi. A Mondello, invece, è stato imputato il collegamento con don Santo Sfameni. Concretizzatosi, secondo l’accusa, nell’archiviazione per Gerlando Alberti jr e Giovanni Sutera, poi condannati all’ergastolo per l’omicidio della giovane Graziella Campagna, 23 anni fa.
“Pochezza”,
termine elegante ma giuridicamente drastico per dire che chi doveva non ha fatto nulla per accertare niente …
L’omerta é sempre viva e vegeta …
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