La recensione. Un gran finale per la rassegna "Tracce d'inchiostro". In scena Stefano Cutrupi e Silvana Luppino
MESSINA – Via Crudex-Cantico della minaccia”, la nuova produzione del Teatro dei 3 Mestieri, con Stefano Cutrupi e Silvana Luppino, è andato in scena al Teatro dei 3 Mestieri, per la regia e drammaturgia di Rosario Palazzolo.
La recensione: mise en scène del calvario dei personaggi
Finale in bellezza per “Tracce d’inchiostro”, rassegna teatrale contemporanea della stagione teatrale 2023 del prolifico “Teatro dei 3 Mestieri” messinese, con una felice produzione dello stesso.
La prima del 26 maggio ha registrato il “sold out” e il pubblico, ripetutamente coinvolto attivamente, ha tributato plauso convinto alla rappresentazione.
Il pluripremiato, di innegabile incisività – a livello nazionale – drammaturgo e regista Rosario Palazzolo ha portato in scena una parodistica Via Crucis che, nello spettacolo della originale versione itinerante era proprio una riproduzione delle stazioni di religiosa memoria, in questa versione diviene il calvario dei personaggi, in uno fine e nuovo inizio – se si è in condizione di salvarsi da soli – che può costituire e sancire la catastrofe o essere salvifico per innescare una trasformazione.
Stefano Cutrupi e Silvana Luppino hanno tenuto luogo – e lo hanno fatto assai bene – degli allievi-attori della scuola di recitazione del Teatro Biondo di Palermo, che nel 2021 avevano interpretato i pensieri e il vissuto, durante la pandemia, degli studenti di Istituti superiori del capoluogo siciliano.
Anche la drammaturgia, così come la direzione, la scenografia, i costumi e le luci, al Biondo, avevano fatto rispettivamente capo agli allievi drammaturghi, registi, scenografi, etc.
Nella performance odierna le riuscite musiche originali di Gianluca Misiti non sono state un riempitivo “tout court”, ma hanno ricoperto un ruolo determinante.
I costumi di Mary Campagna, ben congegnati, dei due protagonisti, hanno altresì impreziosito la pièce, in un continuo volteggiare di cambi a scena aperta, per sottrazione o aggiunta, fino allo scambio di indumenti dei due Attori!
Il vero centro d’elezione è stato, però, lo script di Palazzolo, otto parti di un complesso puzzle, che hanno tracciato, senza alcuna pretesa di completezza, la lotta ai nostri tempi intrapresa dall’attore.
Una pugna ininterrotta… in primis con il pubblico, ma anche con il testo da rappresentare – secondo il canovaccio messo a punto dall’Autore, o più spesso attraverso improvvisazioni – con chi dirige e con se stessi, non da ultimo….con l’interprete sempre volto ad una diuturna esibizione, da dare in pasto agli spettatori, che attendono al varco, con le fauci spalancate.
Insomma, le disavventure degli attori oggi più che mai comprensibili, che li rendono in bilico su una corda tesa… sul punto di soccombere, sempre.
Quelle fragilità messe in luce, il focus sulle tensioni, il vissuto emotivo in sospensione costante, in perpetua dipendenza dal giudizio di chi osserva e colloca l’asticella sempre più in alto, alzando così il livello della sfida. Un centrato punto di partenza per interrogarsi sul destino non solo del Teatro, ma delle Arti dal vivo, che divengono una sorta di crudele rappresentazione alla mercè di un pubblico divoratore, alla continua ricerca di nuove tendenze, e mai pago.
Acrobazie emotive dell’attore, le ha definite Palazzolo. È uno spettacolo che non esiste in quanto tale, non ha compiutezza in sé, inconsistente per volontà del drammaturgo, poiché l’interprete deve iperrappresentare, facendo divenire la rappresentazione altro.
La minaccia dell’intitolazione è verso il pubblico, poiché gli attori devono, per andare oltre l’esibizione “tout court”, assumersi la responsabilità di essere minaccianti, varcare la soglia fino al limite della propria sensibilità per incontrare/scontrarsi con quella entità caliginosa che è costituita dagli spettatori. Questi ultimi non vanno dunque intrattenuti, ma messi alle strette, facendoli piombare in un costruttivo turbamento, un arrovellarsi.
Geniale Palazzolo, nella sua indiscussa creatività, condita da una formazione filosofica, che lo porta a sfidare la complessità del reale e viverla anche attraverso il teatro. Grande soprattutto quale drammaturgo di ricerca.
La direzione degli interpreti, in sottofondo, ma in visibile allerta, nel tentativo di cogliere e far emergere ogni barlume del calvario inscenato, si combina alla perfezione con la perfetta resa degli eccellenti performers, calati talmente nelle complesse parti da apparire nel finale stremati davvero.
La scenografia – con abiti e accessori in terra, in apparenza alla rinfusa, così come gli utensili, come una pentola e una padella, gli odori, uno sgabello- solo funzionale in senso proprio alla narrazione, con gli elementi mano a mano utilizzati, e il perfetto uso delle luci, a ribadire, infine, l’emblematica solitudine degli attori, con quei corpi quasi nudi, illuminati, con indosso solo indumenti intimi.
Nella casa culturale “Teatro dei 3 Mestieri” si può godere di Arte in senso lato e si tengono corsi di formazione sui “mestieri” trattati, non solo teatro, ma danza e canto, con proficui laboratori, e poi… progetti teatrali con Istituti scolastici e Quartieri, altri dedicati ai più piccoli e alle famiglie, esposizioni di arti visive pittoriche e scultoree… insomma… una realtà oramai accreditata, non solo in città, e non si può negare un plauso ai suoi direttori, artistico, Stefano Cutrupi e organizzativo, Angelo Di Mattia.
E allora… arrivederci alla prossima edizione, confidando nella salda resilienza della direzione.