In scena l'artista calabrese Saverio La Ruina:, tra ironia ed emozioni, al 3 Mestieri
MESSINA – Presso il Teatro dei 3 Mestieri è andato in scena il convincente monologo dal titolo “Via del popolo”, di rara intensità, del performer calabrese Saverio La Ruina, un nome ormai collaudato nel panorama nazionale.
Microcosmo di un sud dei tempi andati rievocato con tocccante nostalgia
La pièce, che ha felicemente debuttato al milanese Teatro Menotti, è stata pensata, drammatizzata, interpretata e auto-diretta da un La Ruina abbigliato in metaforico bianco e nero, mai monocorde nella resa, come già nella tenuta dello script.
Un percorso all’indietro nella propria memoria familiare… dal sé stesso bambino, adolescente, giovane uomo, fino alla maturità, attraverso la capillare narrazione del paese natio, fedelmente rappresentato… con amorevolezza, ma con sguardo penetrante, mai scevro dalla realità.
Ironia sovente anche pungente quale cifra di fondo e accurata metodologia, per accostarsi con indulgenza, forse, ma con il necessario distacco ad un universo spesso pittoresco, arretrato, di una arretratezza da riportare sì all’epoca datata, ma anche alla fragilità del territorio calabrese, in ispecie nelle zone montane e paesane.
Ma, indiscutibilmente,, un mondo autentico, e ciò fa riflettere sui valori andati smarriti, sui cari affetti familiari, amicali, sui rapporti di buon vicinato, sulle piccole gioie quotidiane del vivere in provincia che ai giorni nostri appaiono purtroppo distanti anni luce.
Buone pratiche di sana conduzione dell’esistenza, che oggi fanno sorridere con l’amarezza del rimpianto di uno scrigno scivolato via dalle nostre mani, per incapacità forse di riconoscerne la valenza e preservarlo.
La mise en scene si è aperta e si è svolta con peculiare ambientazione, ove 21 lumi, geometricamente disposti, ci hanno immessi nel cimitero di Castrovillari, luogo privilegiato in cui il protagonista ha dato il là alle proprie rievocazioni, soffermandosi sulla determinante figura paterna, sull’amato zio, la madre e il colorato ambiente sociale, imperniato su curiose figure,amorevolmente,ma sempre con sagacia,riportate alla vita di finzione(ma con quanta aderenza alla vita reale),un piccolo mondo antico,quasi diaristicamente illustrato,per non farlo divenire ombra,come tutto ciò che è passato,laddove la società globalizzata del cd tempo reale ha distrutto un modello relazionale basato sulla autenticità,restituendo in cambio centri commerciali anonimi e incremento della disoccupazione.
E c’è tanto amore in questa piece del pluripremiato artista,davvero poliedrico,in grado di spaziare dalla drammaturgia,alla regia,passando per la recitazione anche cinematografica,,e il tutto senza sbavatura alcuna. L’intitolazione fa riferimento ad un tratto di strada della cennata cittadina,nel tempo delle rimembranze brulicante di vitalità,con i suoi negozietti così colorati,gli esercizi commerciali ,fra cui il bar familiare,il cinema, le botteghe artigiane…ove si socializzava e le relazioni interpersonali impreziosivano le giornate, cadenzate da ritmi oramai interiorizzati,mentre il tempo,protagonista della rappresentazione,in uno a quel luogo del cuore,trascorreva,mai freneticamente rincorso.Il volto umano di una popolazione, delle genti di un Sud identitario che con forza rivendicava le proprie peculiarità,l’appartenenza a quel territorio, con una intensità struggente
Il tempo che scorre e trascorre è stato con acutezza simboleggiato da uno degli orologi molli di daliniana memoria,fisso al centro della scena.
Grande il riscontro di un folto pubblico entusiasta, quello delle grandi occasioni,giustamente caloroso,
ravvisando lo spessore dello spettacolo,che ,una volta ancora,ha confermato la innegabile valenza della Rassegna,Epic,che si sta purtroppo avviando alla conclusione e che ha potuto contare su contributi doverosi,quale riconoscimento della riuscita interazione fra Associazioni Culturali ,con risultanze pregevolissime.