Entità del fenomeno, drammaticità dei reati subiti, storie sono emersi a margine della presentazione del lavoro di Luigia Barone e Lucia Lipari sul tema
REGGIO CALABRIA – Il 25 novembre è passato da un soffio, ma di violenza di genere sarebbe importante parlare anche ben fuori da questa ricorrenza. Lo si è fatto a Reggio Calabria, a Palazzo Alvaro: e la casistica svela un fenomeno purtroppo molto presente in Calabria e nel Reggino.
La violenza di genere e il panorama normativo
Frutto dello sforzo congiunto di Luigia Barone e Lucia Lipari – curatrici di quello che resta comunque un lavoro “collettaneo” –, La violenza di genere nelle leggi italiane e internazionali / Modelli culturali & strategie d’intervento s’avvale tra l’altro di una premessa firmata dall’ex deputata Celeste Costantino e dell’introduzione a cura di una nota vittima di violenza di genere – poi a Montecitorio a sua volta -, Lucia Annibali.
Il volume – presentato in collaborazione con Regione, Città metropolitana, Piccola Opera Papa Giovanni e Ordine degli avvocati – scandaglia il rapporto tra politiche pubbliche e divari di genere. E quanto al diritto nazionale e internazionale sul tema pone in rilievo, accanto a obiettivi come l’agenda Onu 2030, pure le riforme tratteggiate per il futuro possibile, offrendo uno ‘spaccato’ di organi, funzioni e attori della Giustizia nel nostro Paese e non solo.
Al tavolo dei relatori, con le curatrici – la Lipari legale della Piccola Opera Papa Giovanni, la Barone giudice onorario al Tribunale dei minori di Catanzaro – , Francesca Mallamaci (Centro antiviolenza “Angela Morabito”), Carlo Talarico (avvocato e giudice onorario al Tribunale dei minori di Catanzaro), Natascia Sarra (avvocato e consigliere dell’Ordine degli avvocati di Reggio Calabria).
Violenza di genere, dato strutturale
«I dati che emergono dagli studi Istat e i recenti report della Polizia ci restituiscono un trend che si conferma, rispetto al fenomeno della violenza di genere – osserva Lucia Lipari –.
Il volume che abbiamo realizzato vuol offrire uno strumento di lavoro per mappare e dare nuove chiavi di lettura rispetto a quello che non è sicuramente un’emergenza: la violenza domestica e di genere, ahimè, si caratterizza come elemento strutturale della nostra società.
L’intento è che questo testo risulti il più possibile utile per offrire spunti critici, modelli culturali e strategie d’intervento per arginare il fenomeno. Del resto, i divari di genere sono fattori di rischio e concause della violenza agita contro le donne: resta un grave fattore culturale che va scardinato, come vanno scardinati gli stereotipi di genere e i modelli involutivi».
Discriminate anche nella musica. Jazz incluso
Proprio la premessa del volume firmata dalla Costantino si distingue per l’originalità dell’approccio, che spacchetta il gender gap occupandosene anche in relazione all’industria discografica italiana e persino a un genere musicale altamente qualitativo ma “di nicchia” da diversi decenni come il jazz, citando i dati presenti su Dij-Ita, «la prima piattaforma delle donne italiane del jazz».
Inutile dire che, anche su questo fronte, non ci sono novità particolarmente confortanti; anzi… Stando ai dati forniti da Alessandra Micalizzi, docente Sae Institute e autrice di Women in creative industries – Il gender gap nell’industria musicale italiana, «emerge che nell’industria musicale italiana le donne sono solo il 27% degli artisti, il 12,5% dei compositori e il 2,6% nella produzione». Mentre più in genere, rileva la Costantino, il punto affrontato in questo prezioso database liberamente consultabile in Rete promosso dall’associazione Jazz Mine Network in collaborazione con altre realtà jazzistiche italiane, è «la questione del divario di genere nel mondo del jazz, che significa principalmente scarsa visibilità delle musiciste e quindi, di conseguenza, una presenza non adeguata nelle rassegne e nei festival».
Il questore: fenomeno che investe ogni età e classe sociale
La presentazione nel palazzo che ospita la MetroCity ha visto contributi di esponenti delle associazioni (e tra questi del presidente della Piccola Opera Papa Giovanni, Pietro Siclari) e uomini delle Istituzioni come il presidente della Corte d’appello di Reggio Calabria Luciano Gerardis e il Garante regionale per i diritti dei detenuti Luca Muglia, il Prefetto reggino Massimo Mariani – che ha avuto parole importanti contro il malinteso senso del “possesso” alla radice, ahinoi, di molteplici gravissimi reati compiuti da uomini ai danni delle donne – e il questore Bruno Megale.
Proprio il questore di Reggio Calabria ha fatto presente al cronista di Tempostretto che, in termini di casistica, «il fenomeno è particolarmente presente nella realtà reggina. Solo quest’anno, ho firmato circa 40 ammonimenti: e siamo solo nella fase preventiva, prim’ancora della presentazione di una denuncia… Il fenomeno, poi, è trasversale, investe tutta la società, tutte le classi sociali e anche tutte le età. Le uniche due costanti sono forse il verificarsi quasi sempre tra le mura domestiche e i frequentissimi epiloghi drammatici. Purtroppo, è un aspetto culturale sul quale occorrerebbe lavorare molto di più, sensibilizzando particolarmente i più giovani sulla tematica dei reati di genere. L’efficacia degli ammonimenti, dei distanziamenti? Funzionano, funzionano… peraltro la violazione dell’ammonimento può produrre il passaggio diretto all’arresto. Poi – aggiunge Megale – l’introduzione legislativa di una serie di reati e dell’accelerazione delle procedure d’intervento ha molto aiutato tutte le forze dell’ordine; e mi piace sottolineare che si sta investendo molto nella risocializzazione dell’aggressore».
Centri antiviolenza, “reddito di libertà”, autonomia
Naturalmente, le curatrici del volume – edito per i tipi della Maggioli – si soffermano sulla legislazione di settore, Codice rosso in testa, e sull’ampio divario di genere.
Ma le sue 246 pagine offrono pure autentiche “chicche”, dal racconto del vissuto di operatrici e ospiti dei Centri antiviolenza al reddito di libertà, tema sviscerato da Natascia Sarra: «Il contributo è riconosciuto ed erogato principalmente con lo scopo di garantire le spese per assicurare alle donne vittime di violenza e in difficoltà economiche l’autonomia abitativa, il percorso scolastico e formativo per i figli o le figlie minori e ogni altro strumento che aiuti la vittima a riacquisire un’autonomia personale a seguito d’episodi di violenza», vi si spiega tra l’altro a proposito della misura.
Un leit-motiv dell’intero lavoro resta la consapevolezza della centralità di un approccio culturale completamente diverso e – manco a dirsi – finalizzato a perseguire quelle pari opportunità che, attuate pienamente, dovrebbero senz’altro incarnare precondizioni ostative rispetto alla violenza di genere.
«Il 25 novembre? Dovrebbe essere tutto l’anno; ma certo, per le ospiti di Centri antiviolenza e case-rifugio, magari potesse non essere più necessario! – è la considerazione operata da Luigia Barone –. Si continua a parlare d’emergenza: i dati, invece, ci raccontano che siamo semplicemente di fronte all’emersione di un fenomeno che nel nostro Paese va avanti da decenni e che solo adesso, grazie a una normativa che garantisce più protezione ma ancor più grazie agli operatori di Centri antiviolenza e case-rifugio, viene fuori nella sua realtà. Se per questi presìdi ci sono, oggi, le condizioni per un funzionamento efficace ed efficiente? Se non si garantiscono fonti di finanziamento idonee, adeguate e soprattutto stabili, sarà veramente difficili, visto che al tempo stesso si richiede a queste organizzazioni senza scopo di lucro di garantire un servizio estremamente professionale».